Caso Caprotti: diffusione di informazioni recanti discredito ad un concorrente

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La Cooperativa Estense conveniva in giudizio Bernardo Caprotti, patron di Esselunga, l’azienda medesima, Marsilio Editori e altri due soggetti, l’economista A. e il giornalista F., chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni, lamentando di essere stata diffamata e di aver subito concorrenza sleale per denigrazione, scorrettezza professionale  pubblicità ingannevole, in relazione al libro “Falce e Carrello – Le mani sulla spesa degli italiani”, scritto da Caprotti ed edito da Marsilio Editori, con prefazione di A. e appendice di F..

caprottiCaprotti avrebbe inteso sferrare un pesante atto di accusa nei confronti della Coop Estense, accusandola di appartenere ad una loggia che le garantirebbe rilevanti favori economici e finanziari, grazie anche alla protezione delle amministrazioni locali di un determinato orientamento politico; di aver creato un monopolio nella distribuzione commerciale; di aver impedito l’espansione delle imprese concorrenti e di essere un’impresa inefficiente e non vantaggiosa per i consumatori.

Il Tribunale e la Corte d’Appello di Milano rigettavano le domande della Coop. Estense, ritenendo applicabile ai dedotti illeciti diffamatori e concorrenziali l’esimente del diritto di critica e della libera manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantiti.

In particolare, per quanto concerneva il presunto illecito concorrenziale, i Giudici milanesi ritenevano che mancava la prova dell’effettivo storno della clientela della Cooperativa in favore di Esselunga e di effettive perdite economiche subite dalla Coop. Estense.

La Corte di Cassazione ribalta il verdetto.

Secondo la Suprema Corte, la concorrenza sleale non si perfeziona necessariamente attraverso la produzione di un pregiudizio attuale al patrimonio del soggetto concorrente, essendo sufficiente anche il mero pericolo di un danno concorrenziale, inteso come difficoltà di mercato potenzialmente arrecata all’altrui impresa, sia dal lato della clientela (possibile perdita di clienti, fornitori e finanziatori), sia dal lato dell’organizzazione aziendale (eventuale sfiducia dei dipendenti), non essendo quindi necessario un effettivo danno.

In secondo luogo, la Cassazione spiega che ai fini della configurabilità della concorrenza sleale per denigrazione, le notizie e gli apprezzamenti diffusi tra il pubblico non debbono necessariamente riguardare i prodotti dell’impresa concorrente, ma possono avere ad oggetto anche circostanze e opinioni inerenti in generale l’attività di quest’ultima e la sua organizzazione, la cui conoscenza da parte dei terzi risulti comunque idonea  a ripercuotersi negativamente sull’idea di cui l’impresa gode presso i consumatori.

La questione, pertanto, ritorna all’attenzione della Corte d’Appello milanese, la quale dovrà adeguarsi ai principi enunciati dalla Cassazione.

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