Tempo di lettura: 2 minuti

Vendita: non tutti sanno che è possibile vendere un proprio bene, riservandosi il diritto di riacquistarlo.

locazione nulla per mancata registrazione del contrattoVediamo, nel dettaglio, di cosa si tratta.

Vendita. Il riscatto convenzionale è il patto in forza del quale il venditore si riserva il diritto di riacquistare la cosa venduta. Le ragioni possono essere molteplici: il venditore vende il bene perchè ha necessità di denaro ma spera in un secondo tempo di riacquistarlo, oppure vuole semplicemente riservarsi la possibilità di cambiare idea.

Spesso l’acquirente è la parte debole del contratto, ragion per cui il legislatore concede a questi una serie di cautele volte a tutelarne la posizione. In particolare, è previsto che il prezzo del riscatto non possa essere superiore al prezzo di vendita. Tale disposizione, da un lato, cerca di evitare che un soggetto che ha bisogno immediato di denaro sia portato a disfarsi di un bene vendendolo a un prezzo di molto inferiore all’effettivo valore e, dall’altro, cerca di evitare che il compratore scoraggi il futuro acquisto stabilendo un prezzo di riacquisto molto più alto.

Il patto di riscatto può essere applicato tanto alla vendita mobiliare quanto a quella immobiliare. Come è facile intuire, il contratto dovrà avere ad oggetto beni non consumabili, altrimenti non sarebbe possibile effettuare il riscatto.

Prima della dichiarazione del riscatto, il compratore è titolare in tutto e per tutto della proprietà del bene e ha, quindi, tutti i diritti che competono al proprietario. Il compratore, tuttavia, ha l’obbligo di conservare la cosa in buono stato di manutenzione, proprio in ragione del fatto che il venditore potrebbe, in futuro, esercitare il diritto di riscatto. In caso contrario, il venditore potrà agire nei confronti del compratore richiedendo a quest’ultimo i danni.

Il codice civile fissa un termine massimo all’esercizio del riscatto: 2 anni per i beni mobili e 5 anni per gli immobili. Nel caso in cui le parti stabiliscano un termine minore, le stesse potranno poi concordare delle proroghe, purchè il termine complessivo non superi quello legale (2 o 5 anni).

Per quanto concerne i beni immobili, la dichiarazione di riscatto deve essere stipulata per iscritto.

La dichiarazione di riscatto dev’essere accompagnata dalla corresponsione del prezzo, pena la perdita del diritto.

Il codice civile prevede, infine, una serie di regole da applicarsi nel caso in cui il bene sia nella titolarità di più soggetti: si pensi alla vendita di una sola quota di un bene indiviso o al subingresso ad un solo acquirente di una pluralità di eredi.

Possiedi un bene (per esempio un immobile) e hai bisogno di liquidità? La vendita con patto di riscatto potrebbe essere la soluzione. Richiedi una consulenza ad un professionista del nostro studio.

Tempo di lettura: 2 minuti

Legge sul diritto d’autore: gli studi professionali che diffondono, in sottofondo, brani musicali non sono obbligati a corrispondere ai titolari dei diritti alcun compenso.

Clip2net_160622142439Lo ha stabilito una recente ordinanza della Corte di Cassazione del febbraio 2016, che ha affrontato il caso in cui SCF (consorzio che gestisce in Italia la raccolta e la distribuzione dei compensi dovuti ad artisti e produttori discografici per la diffusione in pubblico della musica registrata) aveva citato in giudizio uno studio medico odontoiatrico, sostenendo che la diffusione in sottofondo di brani musicali costituisse “comunicazione al pubblico” ai sensi della legge sul diritto d’autore, con conseguente obbligo a versare un equo compenso che sarebbe stato richiesto in separato giudizio.

Il Tribunale e la Corte d’Appello di Milano hanno dato ragione a SCF; la Corte di Cassazione ha ribaltato il verdetto.

Viene, dunque, rigettata la tesi di SCF, secondo la quale gli studi professionali che diffondono musica devono pagare i diritti secondo la legge sul diritto d’autore.

Trattasi d un’ordinanza particolarmente significativa, perchè si sofferma sul concetto di “comunicazione al pubblico” in presenza del quale scatta l’obbligo di pagare il diritto d’autore: il cd. “pubblico” riguarda un numero indeterminato di destinatari potenziali e comprende un numero di persone piuttosto considerevole, il che esclude da detta nozione una pluralità di interessati troppo esigua, quale può essere la clientela di uno studio dentistico.

La Corte di Cassazione ha anche precisato il ruolo delle sentenze della Corte di Giustizia nel nostro ordinamento, conferendo alle stesse il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, con efficacia erga omnes nell’ambito della Comunità.

Proprio la Corte di Giustizia, in passato, in merito a questioni del tutto simili, aveva escluso che si fosse in presenza di un “pubblico” nel caso della clientela degli studi dentistici: i clienti di un dentista formano un complesso di persone la cui composizione è in larga misura stabile e che, pertanto, costituiscono un insieme di destinatari potenziali determinato (non si tratta di «gente in generale»); riguardo all’importanza del numero delle persone per le quali il dentista rende udibile il fonogramma diffuso, la Corte ha precisato che tale pluralità di persone è scarsamente consistente, se non persino insignificante, dal momento che l’insieme di persone simultaneamente presenti nel suo studio è, in generale, alquanto ristretto.

A SCF non resta che pagare le spese legali.

Hai uno studio professionale e non ti è chiaro se devi versare i diritti d’autore a SCF? Puoi verificare con un professionista del nostro studio la tua situazione.

 

 

Tempo di lettura: 2 minuti

Locazione commerciale: analizziamo i presupposti per poter esercitare il diritto di prelazione.

hand-101003_960_720Se il proprietario di un locale decide di vendere, a parità di condizioni, il suo conduttore ha la precedenza.

La ragione di questa prelazione è quella di favorire la tutela dell’avviamento commerciale.

Anzitutto, questa è un’ipotesi di prelazione prevista dalla legge: ciò significa che opera automaticamente per effetto della semplice stipula di un contratto di locazione, indipendentemente dalla volontà dei soggetti del rapporto.

In una locazione commerciale, il conduttore di un immobile adibito ad uso diverso dall’abitazione, al cui interno svolga attività che implichi il contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori, ha diritto ad essere preferito, a parità di condizioni nella vendita del bene locato, qualora il proprietario intenda cederlo.

Il proprietario deve comunicare al conduttore la propria volontà di vendere con atto notificato mediante ufficiale giudiziario (una raccomandata a.r. non è sufficiente).

Non solo: devono essere specificati il corrispettivo richiesto, le altre condizioni alle quali la compravendita dovrebbe essere conclusa oltre che, ovviamente, l’invito ad esercitare o meno il diritto di prelazione.

Il conduttore deve esercitare il diritto di prelazione entro il termine di sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione, con atto notificato al proprietario a mezzo di ufficiale giudiziario, offrendo condizioni uguali a quelle comunicategli.

La mancata manifestazione da parte del conduttore, entro il termine perentorio e nelle tassative forme previste dalla legge, dell’intenzione di concludere l’acquisto alle condizioni di cui alla comunicazione del locatore, determina la decadenza dal diritto di prelazione.

Ove il diritto di prelazione venga esercitato, il versamento del prezzo di acquisto, salvo diversa condizione indicata nella comunicazione del locatore, deve essere effettuato entro il termine di trenta giorni decorrente dal sessantesimo giorno successivo a quello dell’avvenuta notificazione della comunicazione da parte del proprietario, contestualmente alla stipulazione del contratto di compravendita o del contratto preliminare.

Nel caso in cui il proprietario non provveda alla notificazione dell’atto di propria competenza, oppure il corrispettivo indicato sia risultato poi superiore a quello a cui ha effettivamente venduto ad altro soggetto, l’avente diritto alla prelazione può, entro sei mesi dalla trascrizione del contratto, riscattare l’immobile dall’acquirente e dagli altri eventuali soggetti cui questi potrebbe aver rivenduto, nel frattempo, l’immobile in questione.

In pratica, il diritto di prelazione consente al conduttore di sostituirsi all’acquirente dell’immobile, diventandone proprietario in luogo di quest’ultimo, dietro il versamento del prezzo che risulta dalla compravendita.

È bene ricordare che il termine di sei mesi per esercitare il diritto di riscatto è assolutamente perentorio (non sono ammesse né sospensioni né proroghe). È dunque onere del conduttore controllare periodicamente i registri immobiliari per verificare eventuali passaggi di proprietà dell’immobile.

Pensi che sia stato leso il tuo diritto di prelazione? Confrontati con un professionista del nostro studio.

Tempo di lettura: 2 minuti

Una recente sentenza della Corte di Cassazione fornisce lo spunto per analizzare l’obbligo di sicurezza stabilito dall’art. 2087 c.c. con riguardo ai casi di prevenzione dalle aggressioni e rapine subite dal lavoratore sul luogo di lavoro.

37050374 - brave superhero with red cloak before a crowd. isolated on white 3d render. leader, out of crowd concept.

37050374 – brave superhero with red cloak before a crowd. isolated on white 3d render. leader, out of crowd concept.

Anzitutto, la regola generale posta dall’art. 2087 c.c. è che il datore di lavoro, nell’esercizio dell’attività, deve adottare ed applicare tutte le misure necessarie in base alla particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, per garantire l’integrità fisica e morale del lavoratore.

L’obbligo di sicurezza comporta il dovere per il datore di lavoro di proteggere l’integrità fisica e morale del lavoratore nell’ambiente di lavoro, in modo che l’attività lavorativa venga svolta senza conseguenze negative per la salute del lavoratore.

Tale obbligo di tutelare il lavoratore comprende non solo il rispetto della normativa in materia di sicurezza e igienico-sanitaria, ma si estende anche alla tutela del lavoratore con riguardo ad attività criminose di terzi, in particolare quando il livello di rischio è elevato, come nel caso delle banche o uffici postali.

È il caso capitato ad un’azienda, in cui una lavoratrice subiva sul posto di lavoro una rapina a mano armata, a seguito della quale riportava un grave stato di malattia nervosa.

In particolare, la lavoratrice lamentava che l’azienda avesse violato l’obbligo di sicurezza per non aver reso sicuro il posto di lavoro, in quanto le finestre poste al primo piano dell’ufficio dalle quali i rapinatori avevano fatto irruzione non erano blindate né munite di sbarre e le telecamere presenti in azienda erano disattivate per lavori di ristrutturazione.

I Giudici hanno ritenuto che l’obbligo di sicurezza posto dall’art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro di predisporre tutte le misure necessarie per impedire o almeno rendere più difficile le aggressioni nei confronti dei lavoratori derivanti dall’attività criminosa di terzi, in particolare quando:

– la tipologia di attività esercitata dall’azienda, in ragione della movimentazione di somme di denaro, rende prevedibile il verificarsi di episodi di aggressione a scopo di lucro;

– si siano verificate ripetute rapine in un determinato arco temporale.

Nel caso concreto, è stato accertato che l’attività svolta dall’azienda comportava la movimentazione di denaro e quindi rendeva possibile il verificarsi di rapine e che l’azienda non aveva adottato sistemi per rendere sicure le finestre poste al primo piano (quelle da cui erano entrati i rapinatori) che, infatti, non erano blindate né munite di sbarre e, infine, che le telecamere presenti non erano funzionanti.

Applicando il criterio sopra esposto, i Giudici hanno quindi ritenuto che l’azienda avesse violato l’obbligo di sicurezza posto dall’art. 2087 c.c. per non aver adottato tutte le misure necessarie a rendere sicuro il posto di lavoro e che la lavoratrice avesse riportato un danno biologico e morale in conseguenza dell’evento subito.

L’azienda è stata quindi condannata a pagare alla lavoratrice il risarcimento del danno (Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 18-02-2016, n. 3212).

Se sei un’azienda alle prese con la gestione del personale e vuoi saperne di più clicca qui.

Tempo di lettura: < 1 minuto

“Legal game”: ci è piaciuta questa definizione attribuita allo strumento di formazione rivolto alle imprese che abbiamo messo a punto.

legal gameE ci è piaciuto l’accento sul coinvolgimento umano che deriva dal suo utilizzo e sulla contaminazione di idee da cui il gioco è scaturito.

Con l’apertura della nostra sede al Kilometro Rosso abbiamo indossato anche il cappello dell'”innovazione” e soprattutto quello dell’attenzione a elementi provenienti da altri settori e ambienti completamente diversi dal nostro per trovare spunti di novità e nuovi punti di forza.

Così dal mondo “automotive” abbiamo appreso il metodo lean  e dall’osservazione della realtà che ci circonda nuove tendenze: gioco, fumetto, attività di gruppo, apprendimento esperienziale, emozione, unicità.

Siamo partiti dal contratto di agenziamotore commerciale dell’azienda insieme ai venditori diretti, dove va trasmessa la spinta propulsiva dell’imprenditore. Ed è importante partire con il piede giusto.

E dunque al via … mettiamoci in gioco!

 

Tempo di lettura: 2 minuti

Il licenziamento per ripetuti ritardi del lavoratore è illegittimo se in precedenza il datore di lavoro aveva tollerato la situazione dei ritardi.

licenziamentoÈ il caso capitato ad un’azienda, in cui un dipendente arrivava spesso in ritardo, non rispettando l’orario di inizio del lavoro.

L’azienda, stanca dei ripetuti e troppi ritardi, ha contestato tali comportamenti al dipendente e poi, scaduto il termine concesso per le giustificazioni, lo ha licenziato.

Il lavoratore ritenendo ingiusto il licenziamento ha avviato un giudizio, ammettendo di essere arrivato spesso in ritardo sul posto di lavoro, ma sostenendo a propria discolpa di aver sempre recuperato i ritardi fermandosi oltre il normale orario di lavoro e che tale comportamento era accettato dall’azienda.

Inoltre, altri dipendenti si comportavano nello stesso modo, ma non erano stati licenziati.

Il caso è arrivato fino alla Corte di Cassazione che con una recente sentenza ha dato ragione al lavoratore.

In particolare, i Giudici hanno ritenuto che la condotta dell’azienda – e da questa non smentita – di accettare il recupero dei ritardi, anche nei confronti degli altri colleghi, comportava il venir meno della gravità del comportamento addebitato al lavoratore, in quanto tollerato, e quindi non giustificava una sanzione tanto grave come il licenziamento.

La tolleranza da parte del datore di lavoro di precedenti mancanze del lavoratore può rendere illegittimo il successivo licenziamento fondato sugli stessi comportamenti

Si tratta del “principio di proporzionalità”, ossia dell’adeguatezza tra la gravità dell’infrazione contestata al lavoratore e la sanzione disciplinare applicata, che deve essere sempre valutato dall’azienda nel caso concreto.

I Giudici hanno quindi annullato il licenziamento, ordinando all’azienda di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro e condannandola a pagare al lavoratore il risarcimento del danno (Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 16-05-2016, n. 10003).

Se sei un’azienda alle prese con la gestione del personale e vuoi saperne di più clicca qui.

 

Tempo di lettura: 2 minuti

Il part time è un contratto di lavoro subordinato caratterizzato da un orario di lavoro ridotto rispetto al normale orario a tempo pieno (che generalmente è di 40 ore settimanali).
par timeUn’impresa che intende assumere un lavoratore part-time deve sapere che, in aggiunta agli elementi che vengono normalmente inseriti nel contratto di lavoro subordinato, vi sono ulteriori requisiti da rispettare al momento della stipulazione del contratto.

Quali sono i requisiti che non devono mancare al contratto part time?

  1. La forma scritta
  2. La durata della prestazione lavorativa
  3. La collocazione temporale dell’orario

Analizziamoli punto per punto e vediamo quali sono le conseguenze in caso di mancanza dei requisiti.

  1. LA FORMA SCRITTA

Il contratto part time deve essere stipulato in forma scritta.

La legge specifica che la forma è richiesta ai fini della prova (art. 5 D.Lgs. 81/2015, di attuazione del Jobs Act).

Cosa succede se non c’è il contratto scritto?

Se manca il contratto scritto, il lavoratore può chiedere che il rapporto prosegua a tempo pieno, obbligando quindi il datore di lavoro a dargli lavoro per tutta la giornata.

Se il part time non è fatto per iscritto il lavoratore può chiedere di lavorare a tempo pieno

L’unica possibilità per il datore di lavoro per impedire questa conseguenza, è provare che il contratto era stato firmato ma poi è stato perduto.

 

  1. LA DURATA DELLA PRESTAZIONE LAVORATIVA

Nel contratto part time va indicata in modo preciso la durata della prestazione lavorativa, ossia il numero di ore di lavoro che si intende far svolgere al lavoratore (ad esempio, 20 ore lavorative settimanali).

La legge non prevede una durata minima o massima dell’orario di lavoro part-time. Tuttavia, i CCNL spesso prevedono una durata minima (ad esempio, il CCNL Turismo prevede in 15 ore il numero minimo di ore settimanali per un part-time). È quindi sempre bene verificare se e come i CCNL disciplinano la materia.

Cosa succede se manca la durata della prestazione lavorativa?

Se manca l’indicazione della durata della prestazione lavorativa, il lavoratore può avviare un giudizio per ottenere il riconoscimento dell’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno.

Se nel contratto part time manca la durata della prestazione lavorativa il lavoratore può chiedere di lavorare a tempo pieno

Per il periodo che precede la sentenza, il lavoratore ha diritto, in aggiunta alla retribuzione, ad un’ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno, determinata dal giudice con valutazione equitativa (ossia, il giudice stabilisce l’importo secondo equità, in base al suo prudente apprezzamento).

 

  1. LA COLLOCAZIONE TEMPORALE DELL’ORARIO

Nel contratto part time deve essere specificata la collocazione temporale dell’orario di lavoro con riferimento al giorno alla settimana al mese e all’anno (ad esempio, da lunedì al venerdì dalle 9 alle 13).

Cosa succede se manca la collocazione temporale dell’orario?

La mancanza di questo requisito non comporta la nullità del part time, ma il lavoratore può avviare un giudizio affinché il giudice determini le modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa part time, tenendo conto delle responsabilità familiari del lavoratore, della sua necessità di integrazione del reddito mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonché delle esigenze del datore di lavoro (art. 10, comma 2, D.Lgs. 81/2015).

Se nel contratto part time manca la collocazione temporale dell’orario di lavoro, il lavoratore può chiedere al giudice di determinarla

Per il periodo che precede la sentenza, il lavoratore ha diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta, ad un’ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno, determinata dal giudice con valutazione equitativa.

Se sei un’impresa che intende effettuare assunzioni part-time e vuoi saperne di più clicca qui.

Tempo di lettura: < 1 minuto

La legge di stabilità 2016, come preannunciato, ha introdotto novità in tema di pagamento del Canone Rai.

canone raiIn attesa del decreto attuativo (che sarà pronto entro metà febbraio e darà indicazioni pratiche sulla questione), vediamo quali sono le prime novità.

Innanzitutto, l’importo del canone è ridotto da Euro 113,50 ad Euro 100 l’anno.

In secondo luogo, l’addebito si pagherà direttamente in bolletta a partire dal 01.07.2016, in 10 rate mensili.

Infatti, la legge, dopo aver previsto che “La detenzione di un apparecchio si presume altresì nel caso in cui esista un’utenza per la fornitura di energia elettrica nel luogo in cui un soggetto ha la sua residenza anagrafica” e che “il canone di abbonamento è, in ogni caso, dovuto una sola volta in relazione agli apparecchi detenuti, nei luoghi adibiti a propria residenza o dimora, dallo stesso soggetto e dai soggetti appartenenti alla stessa famiglia anagrafica”, è stato altresì previsto che per i suddetti titolari di utenza di fornitura di energia elettrica “il pagamento del canone avviene in dieci rate mensili, addebitate sulle fatture emesse dall’impresa elettrica aventi scadenza del pagamento successiva alla scadenza delle rate”.

L’importo delle rate dovrà essere oggetto di distinta indicazione nel contesto della fattura emessa dall’impresa elettrica, non è imponibile ai fini fiscali e verrà riversato direttamente all’Erario da parte delle imprese elettriche.

La novità riguarda solamente i privati, mentre uffici, studi ed esercizi commerciali dovranno pagare, qualora abbiano un televisore, tramite il bollettino postale e non in bolletta.

Tempo di lettura: 2 minuti

È il d-day per un’importantissima operazione concernente le gestione di case di riposo per anziani.

responsabilità precontrattuale danni a carico della bancaSembra tutto pronto quando, alle 19.30 del giorno prima, l’imprenditore riceve la comunicazione da parte dell’istituto di credito circa l’impossibilità a erogare il finanziamento richiesto, necessario per l’avvio del business.

Risultato? L’imprenditore è costretto a rinunciare all’operazione non essendo in grado, in pochissime ore, di attivare nuovi canali per la concessione del necessario finanziamento.

In ragione del torto subito, non ci pensa due volte: cita in giudizio l’istituto di credito, chiedendo in primis che venga accertata la responsabilità di quest’ultimo per non aver adempiuto al contratto di mutuo; in secondo luogo e in subordine, l’imprenditore chiede che venga accertata in capo alla banca almeno una responsabilità di tipo cd. “precontrattuale”, cioè in assenza di contratto, per il fatto di aver interrotto in modo del tutto ingiustificato le trattative avviate da tempo e quasi giunte al perfezionamento, con conseguente condanna della stessa al risarcimento dei danni subiti.

Nel corso del giudizio vengono accertate alcune circostanze fondamentali.
Anzitutto, non era stato stipulato alcun contratto di mutuo.

Tale tipologia di accordo può dirsi effettivamente concluso solo con l’effettiva consegna del denaro richiesto. Non solo: è necessaria anche la forma scritta che, nel caso in esame, mancava.

Il Tribunale di Piacenza, quindi, rigetta la prima richiesta avanzata dall’imprenditore: la banca non poteva dirsi inadempiente ad un contratto che non aveva mai sottoscritto.

Tuttavia, viene riconosciuta in capo alla stessa una responsabilità di tipo “precontrattuale”: l’istituto di credito ha violato l’obbligo di buona fede nelle trattative, avendo rifiutato solo all’ultimo di erogare il finanziamento richiesto senza alcun motivo che formalmente la giustificasse.

Da tutto ciò, però, l’imprenditore non ricava alcun vantaggio economico.
Il motivo? Perché lo stesso avrebbe dovuto provare i danni che riteneva di aver subito (per esempio le perdite derivate per aver fatto affidamento alla concessione del mutuo, oppure i mancati guadagni conseguenti all’impossibilità di seguire altri affari analoghi).

Nel caso in esame, l’imprenditore non forniva alcuna prova.
Conclusione? Rimane “a bocca asciutta” ed, anzi, paga le spese legali alla banca.