Tempo di lettura: 2 minuti

Concorrenza sleale: e se un Tuo ex dipendente contattasse i Tuoi clienti utilizzando i tabulati “presi a prestito” dai Tuoi archivi?

concorrenza sleale

h

Concorrenza sleale?

Purtroppo è una situazione che molti imprenditori italiani debbono gestire sempre più frequentamente.

Diamo subito la risposta: i nominativi dei clienti della vecchia società per la quale si lavorava non sono utilizzabili dal lavoratore uscente, anche se da quest’ultimo conosciutiin ragione delle sue mansioni

Costituisce, infatti, concorrenza sleale l’acquisizione diretta o indiretta, tramite collaboratori di un’impresa concorrente, di tabulati recanti i nominativi dei clienti e dei distributori della società concorrente.

Non assume alcun rilievo il fatto che i nominativi fossero già conosciuti da un soggetto in quanto in precedenza alle dipendenze della stessa società.

Concorrenza sleale: la normale accessibilità di tali notizie ai dipendenti non esclude, di per sè, la concorrenza sleale, quando le stesse sono per loro natura riservate e, quindi, destinate a non essere divulgate al di fuori dell’azienda.

Ai fini dell’affermazione della responsabilità concorrenziale, è sufficiente che la condotta del soggetto sia idonea a produrre effetti di mercato dannosi per il concorrente.

Non è richiesta la dimostrazione dell’effettiva produzione del danno.

L’illiceità della condotta concorrenziale non deve essere ricercata negli episodi, ma va desunta dall’insieme, dalla manovra posta in essere dall’ex collaboratore per danneggiare il concorrente e per approfittare delle sue informazioni.

L’ordinamento giuridico italiano offre gli strumenti per difendersi.

L’imprenditore, infatti, potrà

  1. accertare che tale condotta integri concorrenza sleale;
  2. inibire l’utilizzo del database alla società che se ne è illegittimamente appropriata di modo che questa cessi di farne uso;
  3. chiedere quindi il risarcimento del danno subito dalla azienda a fronte delle accertate condotte illecite.

Sei un imprenditore e pensi che un Tuo ex collaboratore stia utilizzando alcune Tue informazioni riservate? Contattaci cliccando qui.

Avv. Lorenzo Coglitore

Per ulteriori approfondimenti in tema di concorrenza sleale e informazioni aziendali, ti possono interessare anche

Difendersi dalla concorrenza sleale e dallo sviamento di clientela

Informazioni aziendali e segreti commerciali

Tempo di lettura: 2 minuti

Informazioni aziendali: sono quelle informazioni che hanno valore economico e che non sono generalmente note o facilmente accessibili a terzi.

Le informazioni rappresentano gli asset attraverso i quali le aziende perseguono i propri obiettivi commerciali.

A volte queste informazioni possono diventare oggetto della specifica protezione prevista dalla legge in materia di proprietà intellettuale (ad es. diritto d’autore) od industriale (ad es. brevetti).
Tuttavia, anche quando ciò non si verifica, per scelta del titolare o per mancanza dei requisiti, le informazioni possono comunque beneficiare di una forma di tutela speciale purchè le stesse abbiano un valore per l’azienda ed, in quanto tali, siano mantenute segrete.
Il Codice di Proprietà industriale prevede innanzitutto come oggetto della tutela:
  • le informazioni aziendali
  • le esperienze tecnico-industriali e quelle commerciali
  • i dati relativi a prove od altri segreti la cui elaborazione comporti un considerevole impegno e dalla cui presentazione dipende l’autorizzazione alla messa in commercio di prodotti chimici o farmaceutici
ed, in secondo luogo, stabilisce che tali informazioni sono suscettibili di tutela a condizione che:
  • siano segrete, cioè ignote o non facilmente accessibili agli esperti ed operatori del settore
  • abbiano valore economico in quanto segrete
  • siano sottoposte a misure di protezione adeguate
Il requisito della segretezza si atteggia in modo particolare perchè riguarda le informazioni considerate nel loro complesso oppure in una specifica configurazione e combinazione dei loro elementi costitutivi.

Informazioni aziendali: in giurisprudenza è pacifica la proteggibilità delle infomazioni inerenti la clientela e le condizioni economiche ad essa praticate.

Nello specifico, sono proteggibili elenchi contenenti nominativi di clienti, fornitori e condizioni contrattuali.

 La tutala offerta dalla normativa in merito alla concorrenza sleale rileva solo quando non opera quella prevista dal Codice di Proprietà industriale.

Se vuoi avere maggiori informazioni sulla tutela dettata in tema di know how e concorrenza sleale, contattaci cliccando qui.

Per ulteriori approfondimenti in tema di concorrenza sleale, ti potrebbe interessare anche

Difendersi dalla concorrenza sleale e dallo sviamento di clientela

Tempo di lettura: 2 minuti

Marchio e Influencer Marketing: si tratta di una tecnica di valorizzazione dei marchi basata su meccanismi di comunicazione virale.

Influencer - Marketing - pubblicità - marchioL’Influencer Marketing è una forma di marketing che si basa sull’uso della notorietà acquisita da persone già note, le quali hanno a propria volta influenza sui consumatori.

Tale fenomeno consiste nella diffusione su blog e social network di fotografie, video e commenti da parte di personaggi di riferimento del mondo on line (bloggers e influencers) che mostrano approvazione per determinati brand.

Non si tratta, pertanto, si semplici celebrities, ma di veri e propri creatori di tendenze.

Nasce così il cd. product placement, strumento di marketing molto efficace, che consiste nella promozione del prodotto e del relativo marchio attraverso il suo inserimento all’interno di una narrazione che avviene on line.

L’Influencer può indossare un abito di un certo stilista, o reclamizzare l’effetto benefico di un determinato cibo.

Ci sarà sempre un nutrito numero di consumatori che si convincerà dell’opportunità di acquistare quel prodotto.

Pertanto, la personalità, la reputazione e l’immagine del personaggio contribuiscono a rafforzare il marchio pubblicizzato.

Tuttavia, bisonga fare attenzione a non ledere i diritti di esclusiva di terzi soggetti.

Ad esempio, è opportuno ottenere un’autorizzazione scritta a pubblicare l’immagine della persona ritratta, verificando se ci siano altri rapporti contrattuali che legano il testimonial ad altri brand.

E che cosa accade se nell’immagine appaiono marchi di soggetti terzi diversi da quello oggetto di sponsorizzazione?

L’inserimento non autorizzato di marchi di terzi costituisce violazione dei diritti di esclusiva di questi ultimi.

Vi è un altro fattore cui bisogna fare attezione.

L’utilizzo dell’Influencer Marketing rischia, concretamente, di porsi in contrasto con le regole di trasparenza e correttezza: se le scelte dell’Influencer sono dettate da specifici accordi con i titolari dei brand e i consumatori non sono informati di ciò, l’inganno ai danni di questi ultimi è palese.

Ed è proprio per questo che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha cominciato ad indagare su tale fenomeno.

La pubblicità dev’essere chiaramente riconoscibile come tale e il divieto di pubblicità occulta deve essere applicato anche alle comunicazioni diffuse tramite i sociale network.

Non v’è dubbio, quindi, che l’Influencer Marketing e la connessa promozione dei brand sia materia da trattare con molta attenzione.

Se vuoi avere maggiori informazioni su pratiche commerciali scorrette e pubblicità ingannevole, contattaci cliccando qui.

Avv. Lorenzo Coglitore

Per ulteriori approfondimenti, ti potrebbero interessare anche

Pratiche commerciali scorrette

Tempo di lettura: < 1 minuto

Contraffazione e azione di concorrenza sleale: la ricorrenza della prima non implica necessariamente la sussistenza della seconda.

contraffazioneLe azioni concesse a tutela del brevetto e quelle in materia di concorrenza sleale hanno natura e presupposti differenti.

La fattispecie oggetto di una sentenza della Cassazione di fine 2016 riguarda taluni brevetti in campo chimico di rispettiva titolarità delle parti in causa.

La società A, titolare di un brevetto, citava in giudizio la società B chiedendo che venisse accertata la nullità del brevetto di quest’ultima.

B chiedeva il rigetto della domanda avversaria svolgendo, a propria volta, domanda di concorrenza sleale e risarcimento danni.

Il Tribunale di Torino accoglieva le domande di A e respingeva quelle di B.

La Corte d’Appello capovolgeva parzialmente l’esito, dichiarando che il brevetto di A costituiva contraffazione di quello di B.

Veniva, tuttavia, respinta la richiesta di accertamento di concorrenza sleale da parte di A.

La Cassazione, per quanto concerne i rapporti tra contraffazione e concorrenza sleale, ha confermato quanto statuito dalla Corte d’Appello.

Non può esserci concorrenza sleale se fondata sui medesimi presupposti della contraffazione

Le sentenze dei Tribunali italiani, tuttavia, non sono uniformi, sussistendo ad oggi un vero e proprio contrasto giurisprudenziale sul punto.

Alcuni Tribunali, infatti, sottolineano la diversità di presupposti tra l’azione di contraffazione e quella di concorrenza sleale (Tribunale di Milano e Tribunale di Roma).

Altri Giudici, invece, affermano che la contraffazione integra di per sè l’illecito di concorrenza sleale (Tribunale di Bologna e Tribunale di Torino).

Se sei un imprenditore e vuoi avere maggiori informazioni in merito alla tutela dei marchi e brevetti, contattaci cliccando qui.

Avv. Lorenzo Coglitore

Per ulteriori approfondimenti in tema di concorrenza sleale, marchi e brevetti ti possono interessare anche

Concorrenza sleale e sviamento di clientela

Tutela di marchi e brevetti: come difendersi

 

Tempo di lettura: 2 minuti

Know how: l’ordinamento italiano tutela le informazioni aziendali segrete che hanno ad oggetto aspetti organizzativi e commerciali dell’impresa.

know how

Costituiscono oggetto di tutela tutte le informazioni aziendali, comprese quelle commerciali, ove le stesse

a)  siano segrete, nel senso che non costituiscano elementi generalmente noti o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore;
b)  abbiano valore economico in quanto segrete;
c)  siano sottoposte, da parte dei soggetti titolari, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete.

Il know how tutelabile si estende a qualsiasi tipologia di segreto, trattasi di informazioni di carattere tecnico (formule e procedimenti industriali), oppure di dati commerciali (tecniche di marketing, elenchi e classificazioni di clientela, politiche di prezzi e sconti).

Non solo: è fatta salva, in ogni caso, la normativa in materia di concorrenza sleale.

Ciò consente di ritenere configurabile una concorrenza sleale in occasione di utilizzo di notizie riservate, a condizione che l’utilizzo avvenga secondo modalità scorrette.

Ciò vale anche nel caso in cui le informazioni riservate non possiedano tutti i requisiti di di segretezza sopra elencati.
Costituisce, duqnue, condotta di concorrenza sleale la condotta volta a carpire notizie riservate da parte di un’impresa concorrente.
Deve ritenersi violato il regime di leale concorrenza anche da parte di chi risparmia, con la sottrazione di dati riservati, quei tempi e quei costi di una autonoma ricostruzione delle informazioni industrialmente utili.

La tutela del know how, pertanto, si estende a tutti i dati economicamente rilevanti legati all’organizzazione aziendale.

Accertata la sussistenza della violazione, il soggetto leso potrà valersi delle forme di tutela repressiva previste dall’ordinamento.

Se vuoi avere maggiori informazioni sulla tutela dettata in tema di know how e concorrenza sleale, contattaci cliccando qui.

Avv. Lorenzo Coglitore

Per ulteriori approfondimenti in tema di concorrenza sleale, ti possono interessare anche

Difendersi dalla concorrenza sleale e dallo sviamento di clientela

Tempo di lettura: 2 minuti

Si è in presenza di contraffazione per equivalenti quando un terzo realizza una soluzione molto simile a quella tutelata da un brevetto ma non del tutto identica.

contraffazione-per-equivalentiSe l’oggetto sospettato di contraffazione risolve il medesimo problema tecnico risolto dall’invenzione e i mezzi modificati costituiscono, per l’esperto del settore, evidenti e meri sostituti rispetto a quelli rivendicati, si ha una contraffazione per equivalenti.

Tale forma di contraffazione non ha una definizione normativa, ma è frutto di un’elaborazione della giurisprudenza e della dottrina, utilizzata per estendere la tutela di un brevetto.

Sicuramente, un brevetto tutela il contenuto letterale delle rivendicazioni in esso presenti.

Ma non solo: la tutela può  essere estesa all’attuazione dell’invenzione con mezzi simili a quelli precisamente indicati nel brevetto.

Secondo i principi fondanti la contraffazione per equivalenti, dunque, è possibile estendere la protezione accordata al brevetto al di là del tenore letterale delle rivendicazioni, fino a ricomprendervi le imitazioni non integrali dell’invenzione protetta, nelle quali permane la stessa idea inventiva e l’insegnamento fondamentale del brevetto.

La nozione di contraffazione per equivalenti, tuttavia, è da sempre oggetto di un’interpretazione piuttosto restrittiva da parte dei Tribunali italiani, in considerazione del fatto che il suo abuso potrebbe consentire un’indebita estensione di tutala a favore del titolare del brevetto, a scapito della tutela dell’affidamento dei terzi e del progresso tecnico.

La giurisprudenza del Tribunale di Milano ne è un fulgido esempio.

Il Tribunale meneghino, infatti, utilizzando l’approccio del cd. “triple identify test”, negli anni ha affermato che si ha contraffazione per equivalenti esclusivamente quando l’oggetto incriminato svolga (1) la stessa funzione, (2) con le stesse modalità e (3) portando allo stesso risultato dell’elemento brevettato.

Sulla base di tale approccio, il il Giudice milanese, tra le varie ipotesi, ha negato vi fosse contraffazione per equivalenti

  • in un caso concernente un brevetto rivendincante un particolare tipo di cerniera, affermando che quella incriminata raggiungesse il medesimo scopo ma con modalità differenti;
  • nel caso di un brevetto rivendicante un dispositivo per la digitalizzazione automatica e per il rilevamento di sagome, reputando il Giudice le modalità di svolgimento della funzione differenti e, pertanto, non integranti contraffazione;
  • in un giudizio di contraffazione per equivalenti di un brevetto rivendicante un’invenzione di prodotto, consistente in una striscia di sicurezza portante informazioni a stampa in un titolo di credito, evidenziando il Giudice la diversità dei mezzi utilizzati per risolvere il medesimo problema tecnico.

Se vuoi maggiori informazioni in merito alla tematica della concorrenza sleale, Ti potrebbero interessare anche

Concorrenza sleale e pratiche commerciali scorrette

Concorrenza sleale e rapporto di concorrenzialità

Tempo di lettura: 2 minuti

In materia di trasferimento di azienda, il divieto di concorrenza sancito dall’art. 2557 c.c. prescrive che colui che cede la propria azienda debba astenersi, per cinque anni, dall’iniziare una nuova impresa che per oggetto, ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta.

trasferimento-di-aziendaQuesta l’ipotesi base.

Divieto di concorrenza: nella pratica ci si domanda se tale divieto  si possa applicare anche ad altre fattispecie, diverse dal classico trasferimento di azienda, ma che – nella sostanza – possono tutelare i medesimi interessi.

L’opinione (maggioritaria) favorevole a tale applicazione “estesa” risiede nel fatto di considerare la norma dettata in materia di trasferimento di azienda una prescrizione di carattere non eccezionale.

La clientela dell’impresa deve seguire le sorti dell’azienda, sia che questa venga trasferita o data in godimento,  sia che venga restituita al proprietario al termine del contratto di affitto.

Chi riceve l’azienda, pertanto, deve fare affidamento sull’assenza di concorrenza da parte del suo dante causa.

L’iniziativa economica dell’acquirente non deve andare svilita dal suo dante causa, il quale ha acquisito un indubbio patrimonio di conoscenze consolidate proprio nel settore economico in cui ha operato e nel quale si appresta ad operare il cessionario.

Si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui l’affittuario di un’azienda restituisca l’azienda medesima al proprietario, a seguito della naturale conclusione del contratto di affitto.

La Cassazione si è espressa nel senso di far operare, anche in tal caso, il divieto vigente per l’ipotesi del trasferimento di azienda, sostenendo che tale divieto debba operare in tutti i casi in cui vi sia sostituzione di un imprenditore ad un altro nell’esercizio dell’impresa.

Più recentemente le medesime ragioni di tutela sono emerse a sostegno dell’applicabilità del divieto di concorrenza ai casi di cessione di partecipazioni societarie.

Tuttavia, a titolo di completezza, va detto che nel panorama giurisprudenziale italiano si rinvengono anche posizioni nettamente contrarie all’applicazione analogica del divieto dettato in materia di trasferimento di azienda.

La ragione principale che alimenta tali voci “fuori dal coro” è incentrata, sostanzialmente, sul carattere “eccezionale” del divieto di cui all’art. 2557 c.c., la cui interpretazione analogica contrasterebbe con il principio costituzionale della libera iniziativa economica.

Tale rilievo, in realtà, non pare cogliere nel segno:il divieto di concorrenza costituisce, già di per sè, un limite intrinseco al principio di libera iniziativa economica, con l’obiettivo di escludere quella che viene definita concorrenza cd. “differenziale”.

La concorrenza differenziale è quella di un soggetto che, grazie alle informazioni acquisite, riuscirebbe ad operare in un’ingiustificata posizione di vantaggio, alterando illegittimamente il mercato concorrenziale.

Se vuoi maggiori informazioni in merito alla tematica della concorrenza sleale, Ti potrebbero interessare anche

Concorrenza sleale e pratiche commerciali scorrette

Concorrenza sleale e rapporto di concorrenzialità

Tempo di lettura: 2 minuti

Pubblicità ingannevole: costituisce atto di concorrenza sleale la commercializzazione di un prodotto con una denominazione fuorviante tale da suggerire un’errata provenienza geografica del prodotto.

pubblicita-ingannevoleCon una interessante pronuncia del 16.8.2016 la Corte di Cassazione ha esaminato una fattispecie relativa alla commercializzazione di due whisky denominati “Scottish Swordsman” e “Scottish Piper”, integrante fattispecie di pubblicità ingannevole.

La vicenda prende le mosse da un giudizio instaurato avanti al Tribunale di Lanciano dalla Scotch Whisky Association nei confronti di una società, la D.C.A., nel quale la prima lamentava che l’azienda convenuta avesse commercializzato in Italia ed in Inghilterra due whisky che, di fatto, whisky non erano nè tantomeno whisky scozzesi.

L’associazione attrice sosteneva che detta condotta costituiva concorrenza sleale e chiedeva la condanna della D.C.A. al risarcimento del danno.

D.C.A. resisteva alla domanda sostenendo di essersi limitata ad acquistare il prodotto sfuso da una terza società, la Polini S.r.l.. Quest’ultima, chiamata in giudizio, evidenziava di aver venduto a D.C.A. un prodotto che quest’ultima sapeva, perfettamente, non essere whisky scozzese.

Pubblicità ingannevole: il Tribunale di Lanciano ha dichiarato che la commercializzazione dei prodotti  di cui sopra da parte della D.C.A. costituiva attività di concorrenza sleale ed ha condannato la stessa al risarcimento del danno cagionato all’associazione attrice, quantificato in complessivi Euro 113.620,50, rigettando la domanda di garanzia spiegata nei confronti di Polini S.r.l..

La Corte d’appello dell’Aquila respingeva l’appello della D.C.A. che decideva di ricorrere in Cassazione.

Il Supremo Giudice confermava le decisioni dei giudici di merito.

In particolare, la Cassazione ha rilevato che:

– il bene commercializzato dalla D.C.A., all’esito della espletata consulenza tecnica, poteva essere annoverato nella generica categoria del whisky, quale bevanda ottenuta dalla fermentazione e successiva distillazione di mosti ottenuti da cereali;

– tale prodotto non presentava le caratteristiche organolettiche del whisky scozzese;

– il regolamento CE 1576/1989 considerava concorrenza sleale l’uso di indicazioni geografiche o la presentazione di un prodotto tale da suggerire la sua provenienza da una certa località diversa da quella effettiva, costituendo fattispecie di pubblicità ingannevole;

– le bottiglie commercializzate dalla D.C.A. facevano esplicito riferimento al whisky scozzese con l’uso delle parole “whisky”, “scottish” e “higlands” nonchè con elementi figurativi tipicamente scozzesi quali il tartan, un suonatore di cornamusa ed un danzatore abbigliati con vestiti scozzesi;

– la condotta posta in essere dall’azienda fosse idonea a confondere il prodotto col vero whisky scozzese ingenerando nell’acquirente l’errato convincimento di acquistare il prodotto originale.

Se vuoi avere maggiori informazioni su pubblicità ingannevole e concorrenza sleale, contattaci cliccando qui.

Avv. Lorenzo Coglitore

Per ulteriori approfondimenti in tema di concorrenza sleale, ti potrebbero interessare anche

Concorrenza sleale e pratiche commerciali scorrette

Concorrenza sleale per denigrazione

Concorrenza sleale e rapporto di concorrenzialità

 

Tempo di lettura: 2 minuti

Concorrenza parassitaria: la Corte di Cassazione affronta una fattispecie inerente due imprese concorrenti dedite alla produzione e commercializzazione di oggetti di culto.

concorrenza-parassitariaI principi enunciati risultano molto interessanti per gli addetti ai lavori.

La Cassazione, infatti, evidenzia che nella protezione delle opere del disegno industriale debbono essere comprese  le opere «che presentino, di per sé, carattere creativo e valore artistico»; a prescindere dall’eventuale produzione in serie, tali parametri debbono risultare riconoscibili anche attraverso il ricorso a criteri indiziari quali, ad esempio, il loro riconoscimento in ambiti critico-specialistici.

Gli oggetti di uso comune (sedie, lampade, autovetture, etc.) esprimono, di solito, una mera funzione utilitaristica, rappresentando soltanto quello che permettono di fare e che fanno intuire (oggetti atti a sedersi, illuminare, trasportare, etc.).

Almeno dalla seconda rivoluzione industriale si è progressivamente opposta una tendenza inversa.

Il passaggio dall’artigianato all’industria, come l’impiego di nuovi materiali (acciaio moderno e gomma) e nuove tecniche (ad esesempio nella chimica il procedimento di creazione dell’alluminio) che permettevano una maggiore produttività industriale ma anche una nuova libertà creativa, ebbero l’effetto di allargare la geografia dei mercati.

A questa esigenza commerciale di differenziazione dei prodotti si è sempre fatto seguito secondo due  diverse strade: l’una tecnologica, migliorando la suddetta funzione utilitaristica,  l’altra estetica, accattivando i consumatori verso prodotti unici e distinguibili dalle produzioni largamente seriali. Entro questa seconda linea – contraria, di norma, alle produzioni di massa – si è sviluppata la considerazione della tutela d’autore rispetto al disegno industriale.

Per disegno industriale si intende, in generale, quella fase di “progettazione” delle proprietà formali di un oggetto, risultando così secondaria la valutazione estetica degli stessi.

I prodotti di design, solitamente, acquisiscono il crisma dell’arte non già all’atto del disegno del prodotto, ma all’atto del giudizio del mercato e degli esperti su quel prodotto.

Le forme del design possono essere protette in via brevettuale, come prodotti d’autore nonchè  come marchi di forma; la loro illegittima utilizzazione può portare a condotte concernenti ipotesi di concorrenza parassitaria.

La produzione in serie non sempre equivale a produzione di oggetti non tutelabili tramite gli istituti del codice civile e di quello di proprietà industriale.

Per quanto concerne il caso di specie, il Giudice di Legittimità disconosce le conclusioni cui era giunta la Corte d’Appello nel negare presuntivamente ai rosari prodotti in serie la possibilità di una valorizzazione artistica. Estromettere i rosari dal novero dei disegni o dei modelli industriali vorrebbe dire – spiega la Cassazione – dimenticare secoli di storia dell’arte e dell’artigianato sacri.

La Cassazione evidenzia che i rosari, che per la Corte d’Appello non avrebbero dovuto essere considerati perché la qualità artistica rimarrebbe schiacciata dalla ragione primaria del culto, rappresentano un esempio di opera del disegno industriale, valorizzabile tramite il diritto d’autore e potenzialmente oggetto di condotte integrante atti di concorrenza parassitaria.

Se vuoi avere maggiori informazioni su pratiche di concorrenza parassitaria, contattaci cliccando qui.

Avv. Lorenzo Coglitore

Per ulteriori approfondimenti in tema di concorrenza sleale in generale, ti possono interessare anche

Concorrenza sleale e pratiche commerciali scorrette

Concorrenza sleale per denigrazione

Concorrenza sleale e rapporto di concorrenzialità

Tempo di lettura: 2 minuti

Marchi: la dichiarata decadenza del marchio “Lambretta” avrà sicuramente fatto sussultare molti amatori del genere.

marchiLa vicenda riguarda un marchio registrato in anni risalenti: nel 2002 una società indiana aveva acquisito il ramo d’azienda motoveicoli della “Innocenti”, incluso quello “Lambretta”; nel 2007 una società olandese depositava domanda di registrazione con lo stesso termine.

La società indiana faceva causa alla seconda, ma i Giudici di merito ritenevano il marchio “Lambretta” decaduto per mancato uso da parte della società indiana, la quale ricorreva in Cassazione.

Marchi: la mera rinnovazione della registrazione non costituisce uso dello stesso e non ne impedisce la decadenza.

A nulla è valso il fatto che il termine “Lambretta” fosse ancora molto noto sia in Italia che all’estero.

I giudici di legittimità hanno, sostanzialmente, affermato che la notorietà da sola non è sufficiente ad evitare la decadenza per non uso . In altre parole, il fatto che il nome “Lambretta” fosse ancora ricordato dal pubblico non è stato sufficiente a salvare il marchio a seguito del mancato uso.

La Cassazione ha rilevato come la società Lambretta Italia S.p.A. avesse cessato di importare in Italia gli scooters fin dal 1985 e questa è stata la data ritenuta di intervenuta cessazione di uso effettivo del marchi o. Nella disciplina anteriore alla riforma del 1992, la decadenza per non uso avveniva dopo 3 anni; nel caso di specie, pertanto, 3 anni dopo la cessazione dell’importazione.

Non è dunque richiesto che il marchi o, per decadere, abbia completamente perduto la sua capacità distintiva.

Per quanto concerne la prova del non uso, lo stesso può essere desunto anche in via presuntiva, avuto pure riguardo alla possibilità che ha il titolare del marchio a contestare tali presunzioni, fornendo la prova contraria del suo utilizzo.

Non solo: il “rideposito” effettuato al maturare del periodo di decadenza dalla prima registrazione, ancorchè possa essere considerato indice della volontà di riutilizzare, prima o poi, quel segno distintivo, non vale a superare la sanzione voluta dal legislatore.

Se vuoi avere maggiori informazioni sulla tutela dei marchi e brevetti, contattaci cliccando qui.

Avv. Lorenzo Coglitore

Per ulteriori approfondimenti in tema di concorrenza sleale, ti possono interessare anche

Distinzione tra marchio debole e forte

Tutela di marchi e brevetti: come difendersi

marchio di fatto: validità e tutela