Procacciatore d’affari o agente di commercio: quale confine divide le due figure? E quali conseguenze può avere l’azienda se non rispetta questo confine?
La questione si pone perché i due soggetti sono quasi parenti: tutti e due promuovono le vendite e tutti e due vengono pagati a provvigione (anche il trattamento fiscale è uguale).
La differenza è che il rapporto con il procacciatore è “episodico” e “occasionale“, mentre quello con l’agente è “stabile” e “continuativo“. Punto.
Elementi che fanno il paio con il fatto che il procacciatore se vuole vende e se non vuole non vende senza che l’azienda possa rimproverargli nulla, mentre l’agente è obbligato a vendere.
Tuttavia, spesso la tentazione di optare per il procacciamento è forte, visto che sul procacciatore non si calcolano i contributi Enasarco e non valgono una serie di diritti tipici dell’agente, tra i quali quello alle indennità di fine rapporto se il rapporto cessa per iniziativa dell’azienda. Complice il fatto che l’azienda, più o meno cosciente che si tratti di motivazioni giuridicamente irrilevanti, basa la propria decisione non sulla differenza sopra descritta ma su altre ragioni.
In particolare, i motivi che le aziende (si) dicono all’inizio per fare solo un contratto da procacciatore sono i più vari, di solito comunque rientrano in uno di questi:
- la persona è giovane, non è sicura se vuole fare l’agente, vuole solo provare
- prima di fare il contratto di agenzia vogliamo vedere come va
- non ha ancora passato l’esame/non ha ancora i requisiti
- è lui che non vuole essere preso come agente
- non sappiamo quanti affari ci porterà
- se lo iscrivo all’Enasarco e non va bene lo devo disiscrivere subito dopo …
e via di seguito…
Elementi quali: episodicità e saltuarietà, o, al contrario, continuità, stabilità, periodicità nel pagamento delle provvigioni, liquidazione delle provvigioni a fronte di una serie indistinta di ordini, importo complessivo annuo superiore a certe soglie, non sono invece quasi mai valutati.
L’idea che si possa “scegliere” il tipo di contratto a prescindere da quello che poi il “procacciatore” farà concretamente è molto radicata.
Spesso si crede che basti chiamare il contratto come di procacciatore perché lo sia veramente
Le aziende in particolare pensano realmente di poter utilizzare una di quelle motivazioni per giustificare poi, quando succede il patatrack, il perché non hanno invece concluso direttamente un contratto di agenzia.
Specie la mancanza dei requisiti o al fatto che la persona debba ancora “fare il corso” è una delle motivazioni più diffuse: “Se non li ha come faccio a fargli il contratto di agenzia?” – spesso sento dire – “Non posso che fargli il contratto di procacciatore!”
Non è cosi. Se non ha i requisiti l’alternativa non è trovare un altro vestito che possa andare bene nel frattempo per fargli fare la stessa cosa che farebbe se fosse agente, ma quella di non farlo proprio lavorare (prima di nominare un agente, comunque, queste sono le cose che vanno verificate).
Anche la questione della “prova” è un “falso” problema: nel contratto di agenzia si può prevedere un periodo di prova durante il quale ciascuna delle parti può interrompere liberamente il rapporto, e così si risolve il problema.
Naturalmente ragioni commerciali e ragioni giuridiche/fiscali/previdenziali non sempre vanno di pari passo, ma almeno è bene sapere prima:
- quanto può costare la scelta, se poi qualcosa andasse storto, di optare per un contratto da procacciatore
- quali sono gli elementi che, se viene l’Enasarco in azienda, non lasciano scampo al verbale (e che poi vengono confermati anche in Cassazione)
1. La questione dei costi richiede una analisi caso per caso, ma possiamo dire in generale che, come accennato, il procacciatore non va iscritto all’Enasarco e non gli si applica tutta la normativa (Direttiva CE sugli agenti, codice civile, Accordi Economici Collettivi) sugli agenti di commercio.
Se quindi, malauguratamente, il procacciatore non è un procacciatore ma un agente:
- l’Enasarco può richiedere tutti i contributi non versati, il versamento del FIRR (talvolta con un ragionamento un po “forzato” se l’azienda non è iscritta a nessuna associazione di categoria), applicare le sanzioni. Al riguardo, è discutibile che al procacciatore possa poi essere trattenuta la quota di contributi che sarebbero stati a suo carico se fosse stato inquadrato come agente sin dall’inizio, considerato che la responsabilità “giuridica” ricade sull’azienda e non sul procacciatore al quale dunque non può essere imputata la scelta di non versare i contributi (l’ha detto anche la Cassazione nel 2009, con la sentenza n. 6448).
- il procacciatore-agente (di solito alla fine del rapporto) può far causa a sua volta impugnando il contratto e richiedendo il pagamento delle indennità di fine rapporto (se il rapporto è cessato su iniziativa dell’azienda), il preavviso previsto dagli A.E.C., eventuali provvigioni indirette su affari conclusi nella zona dell'”agente” (zona, che, se nulla è specificato in contratto, si intende in esclusiva).
2. Quali sono a questo punto gli indizi che non lasciano scampo, specie in caso di ispezione?
Ecco i 2 principali indizi che messi insieme tagliano la testa al toro:
- fatture provvigionali concepite dalle parti per la remunerazione di una serie indeterminata di affari (dicitura “classica”: “provvigioni I trimestre” o “provvigioni su ordini procacciati mese di …”
- cadenza periodica del pagamento (mensile o trimestrale)
I 2 indizi che fanno una prova: provvigioni per una serie indeterminata di affari e cadenza periodica del pagamento
Ai quali poi si aggiungono ulteriori elementi, frequentemente rilevati quali:
- contratto con durata pluriennale predeterminata (esempio: durata “3 anni”) o preavviso per la disdetta
- predeterminazione del compenso, anziché determinazione di volta in volta
- fissi mensili
- rimborsi spese
Si tratta di elementi che, come è intuibile, sono in contrasto con quel carattere episodico e occasionale che la giurisprudenza richiede debba caratterizzare l’operato del procacciatore e quindi fanno “traghettare” poi il rapporto nell’ambito dell’agenzia.
Se, nonostante i rischi, l’azienda ritiene comunque di stipulare un contratto di procacciamento, dovrà (dovrebbe) evitare il più possibile che dall’analisi del rapporto possano risultare elementi sopra descritti e quindi:
- niente pagamento periodico e su un numero indistinto di ordini, ma pagamenti di volta in volta con specifica indicazione in fattura del cliente procurato
- niente fissi
- niente minimi di vendita
- niente preavviso in caso di cessazione
- possibilmente evitare di predeterminare la percentuale provvigionale ma pattuirla di volta in volta
- in caso di ordini “frequenti”, rimanere comunque all”interno di una soglia che si suggerisce essere inferiore a euro 5.000,00 (non è una soglia prevista dalla legge, ma era quella, vigente un tempo, alla quale veniva ricollegata la prestazione occasionale, e tende quindi ad essere considerata ancora tale), evitando comunque pagamenti periodici
Si ricorda che l’Enasarco ha 5 anni di tempo per richiedere gli arretrati, che possono arrivare a 10 se l’agente fa la denuncia .
L’agente ha a sua volta 5 anni di tempo per chiedere eventuali differenze provvigionali e 1 anno dalla cessazione del rapporto per richiedere le indennità.
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