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Separati in casa: oggi accade sempre più di frequente.

separati in casaE’ considerata da molti coniugi come una soluzione a metà strada tra il matrimonio e la separazione “legale”.

I motivi della scelta sono i più diversi: i problemi economici, il bene per i figli, le apparenze, le questioni emotive.

Il risultato, tuttavia, è contrario al diritto.

Il Tribunale non può autorizzare a vivere “separati in casa”

Questa la conclusione alla quale è giunto il Tribunale di Como con la pronuncia della sentenza del 6 giugno 2017.

Nell’esaminare il ricorso per la separazione presentato congiuntamente da due coniugi, il Tribunale si è trovato ad affrontare la questione.

I due coniugi, infatti, chiedevano che il Tribunale, pur pronunciando la separazione “legale”, li autorizzasse a proseguire -a tempo indeterminato- la convivenza sotto lo stesso tetto.

Queste le motivazioni portate dai coniugi a sostegno della richiesta di poter vivere separati in casa:

il fatto che da anni i coniugi già vivevano separati in casa;

la volontà di entrambi di non allontanarsi dalla casa familiare, in comproprietà;

la presenza di locali idonei a consentirgli di vivere separati in casa;

la volontà di preservare le risorse economiche a favore del figlio maggiorenne, studente;

non precisati problemi di salute della moglie;

al contempo, vi era anche la volontà reciproca di svincolarsi dal dovere di fedeltà.

Il Tribunale ha ritenuto di non poter accogliere tale richiesta.

Il Giudice ha infatti precisato che, sul piano personale, le parti hanno facoltà di comportarsi come meglio credono.

Se, pertanto, desiderano proseguire una convivenza formale, non gli può essere impedito.

Non è tuttavia consentito, nel nostro ordinamento, attribuire a tale “desiderio” il riconoscimento di vero e proprio diritto.

L’intollerabilità della convivenza: presupposto della separazione “legale” che contrasta con la volontà di continuare a convivere “sotto lo stesso tetto”

Alla base dell’istituto della separazione, infatti, vi dev’essere una situazione di intollerabilità della convivenza.

Chiedendo di essere autorizzati a vivere “separati in casa”, invece, i coniugi di fatto chiedono al Giudice di autorizzare una proroga della convivenza.

Non può quindi essere accolta “la pretesa di attribuire, con un provvedimento di omologa, riconoscimento giuridico, con i conseguenti effetti della separazione coniugale, ad un accordo privatistico che regolamenti la condizione di “separati in casa””.

Peraltro, a lungo andare, la convivenza da “separati in casa” potrebbe anche portare ad un aumento dei conflitti e, ancor più grave, al danneggiamento per i figli.

Per questo motivo, è sempre opportuno valutare la situazione in cui ci si trova con l’aiuto di un esperto.

Solo in questo modo si potrà decidere con consapevolezza quale alternativa – fra quelle possibili – è meglio scegliere.

 

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comodato-casa-e-crisi-coniugaleIl comodato è un contratto, disciplinato dal codice civile, in forza del quale “una parte (comodante) consegna all’altra (comodatario) una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta“.

Il comodato è normalmente gratuito.

In relazione alla durata, se non è pattuito un termine per la restituzione del bene, chi riceve il bene in comodato è tenuto a restituirlo non appena gli viene richiesto da chi gli ha concesso l’utilizzo del bene (c.d. concordato “precario”).

Spesso il contratto di comodato viene utilizzato in ambito familiare.

Ad esempio, accade che i genitori concedano una casa di loro proprietà in comodato al figlio ed alla sua nuova famiglia, senza determinazione di tempo.

Poiché in questo caso il comodato è “precario” (senza determinazione di tempo), l’immobile dovrebbe essere riconsegnato al proprietario che ne faccia semplice richiesta.

La questione, invece, è più complessa.

La Cassazione si è infatti trovata ad esaminare il caso di genitori/proprietari di un appartamento che hanno chiesto la restituzione del bene dato in comodato al figlio ed alla nuora.

La richiesta di restituzione era dovuta al fatto che la nuova famiglia stava affrontando una crisi coniugale ed i genitori/proprietari volevano tutelare il proprio patrimonio (l’appartamento) dalla suddetta crisi.

Tuttavia, la Corte di Cassazione, con la propria sentenza n. 13.716 del 31 maggio 2017, ha ribadito che, quando l’immobile è stato concesso in uso alla nuova famiglia, anche se non è prevista una durata, il comodato non può ritenersi un normale “comodato precario” ed il proprietario non può quindi pretendere la restituzione in forza della semplice richiesta.

Infatti, sebbene non sia stata determinata la durata del contratto di comodato, è evidente che lo stesso è vincolato dalla speciale “destinazione d’uso”.

La casa oggetto di comodato, infatti, deve ritenersi concessa in uso proprio per soddisfare le esigenze abitative di un nucleo familiare (quello del figlio e della sua nuova famiglia).

Per la Suprema Corte, questa “destinazione d’uso” prevale sulla mancanza del termine di durata.

La destinazione dell’immobile ad esigenze abitative di un nucleo familiare supera il diritto del proprietario alla restituzione dell’immobile concesso in comodato

Con la conseguenza che i genitori comodanti sono tenuti a consentire la continuazione del godimento anche in presenza di una crisi coniugale ed oltre la crisi coniugale stessa.

Unica eccezione, il sopraggiungere di un urgente e imprevisto bisogno del comodante.

In tal caso, spetterà al Giudice valutare la situazione e decidere se attribuire prevalenza ai bisogni del comodante o alle esigenze di tutela della nuova famiglia e della prole.

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modifica-mantenimento-figlio-maggiorenneLegittimato a richiedere la corresponsione e l’eventuale modifica dell’ assegno di mantenimento per il figlio, normalmente, è il genitore con il quale il figlio convive.

Ma se il figlio è maggiorenne e non convive con nessune dei due genitori?

Chi ha diritto a “gestire” l’ assegno di mantenimento?

L’ipotesi dell’ assegno di mantenimento a favore dei figli maggiorenni, non economicamente indipendenti, è un’ipotesi eccezionale che trova puntuale regolamentazione all’art. 337-septies del Codice Civile.

Tale norma prevede che, se il Giudice dispone il pagamento dell’ assegno di mantenimento a favore del figlio maggiorenne non economicamente indipendente, può prevedere che sia versato “direttamente all’avente diritto” e, quindi, al figlio.

In tal caso, la gestione dell’ assegno di mantenimento spetta esclusivamente al figlio.

La gestione spetta al figlio se maggiorenne e titolare, in via diretta ed esclusiva, del diritto al mantenimento

Con la conseguenza che la domanda giudiziale volta ad ottenere la modifica (aumento o riduzione) dell’importo dovuto a titolo di mantenimento dovrà essere presentata rispettivamente dal figlio contro il genitore o viceversa.

Nessun ruolo potrà avere l’altro genitore.

In tal senso, si è espresso di recente anche il Tribunale di Torino che, con provvedimento collegiale dell’11.04.2016, ha respinto la domanda di revoca dell’ assegno di mantenimento corrisposto ai figli maggiorenni formulata dal padre – tenuto al versamento – nei confronti della madre.

Il Tribunale evidenzia, infatti, che il padre avrebbe dovuto formulare la domanda nei confronti dei propri figli, i quali, maggiorenni e non conviventi con nessuno dei due genitori, hanno sempre percepito direttamente l’ assegno di mantenimento.

Diverso, invece, è il caso in cui i figli sono minorenni o lo erano quando è stato disposto il pagamento dell’assegno di mantenimento.

In tal caso, infatti, è il genitore convivente ad essere individuato come creditore dell’assegno, nel senso che spetta al genitore la gestione dello stesso in favore del figlio.

Con la conseguenza che sarà il genitore – e non il figlio minorenne – ad essere legittimato, anche per il figlio, a domandare la modifica ovvero a resistere alla domanda di modifica.

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aumento dell'assegno di mantenimentoQuando sorge il diritto all’aumento dell’assegno di mantenimento?

L’assegno di mantenimento per il coniuge economicamente più debole può essere sempre soggetto ad una revisione, sia in aumento che in riduzione, quando cambiano le condizioni che avevano indotto il Giudice a determinarlo.

Ciò significa, per esempio che il coniuge onerato dell’assegno di mantenimento, il quale, per ragioni indipendenti dalla propria volontà, subisca un netto peggioramento della propria condizione economica, può sempre richiedere al Giudice una revisione del contributo, in modo da adeguarlo alla diminuzione della propria capacità contributiva.

L’aumento dell’assegno di mantenimento è dovuto ogni volta che migliorano le condizioni economiche del coniuge che vi è tenuto?

L’aumento dell’assegno di mantenimento può essere certamente richiesto quando aumentano le esigenze economiche dei figli, ovvero a fronte di un grave peggioramento delle condizioni economiche del coniuge che ne è beneficiario.

Ma vale sempre anche il contrario?

Il sensibile miglioramento delle condizioni economiche di chi è tenuto al pagamento fa nascere spesso richieste di aumento dell’assegno di mantenimento da parte dell’altro.

Non sempre tuttavia tali richieste sono fondate.

E’ tipico il caso della vincita alla lotteria o al superenalotto.

Il fortunato vincitore della lotteria, non dovrà subire l’aumento dell’assegno di mantenimento in favore dell’ex coniuge.

Ma perché no?

La vincita alla lotteria è un evento occasionale e straordinario che non ha nulla a che vedere con il tenore di vita goduto dalla famiglia durante il matrimonio, né trova il proprio fondamento nell’attività svolta dal coniuge vincitore durante la convivenza.

La Corte di Cassazione si è pronunciata in tal senso, escludendo la possibilità che i miglioramenti che hanno origine da eventi autonomi, non collegati alla situazione ed alle aspettative maturate nel corso del matrimonio, possano dar luogo all’aumento dell’assegno di mantenimento cui il coniuge che ne ha beneficiato è già tenuto.

Tali eventi hanno infatti carattere di eccezionalità, poiché derivano da circostanze del tutto occasionali e imprevedibili e, non trovando fondamento nel rapporto matrimoniale ormai cessato, non possono influire sul rapporto economico tra gli ex coniugi.

Al contrario, se l’arricchimento del coniuge è in effetti la naturale e prevedibile conseguenza dell’attività già avviata nel corso del matrimonio, l’ex coniuge avrà diritto all’aumento dell’assegno di mantenimento.

Per esempio, l’imprenditore che durante il matrimonio getta le basi dell’attività e ne raccoglie i frutti con un sensibile aumento del proprio reddito solo dopo la separazione, farà probabilmente sorgere il diritto da parte dell’ex coniuge all’aumento di un assegno di mantenimento determinato in un momento in cui ancora l’attività non era fiorita.

L’avvocato divorzista è spesso chiamato a rispondere a questioni simili, ed altrettanto spesso le circostanze del singolo caso sono tanto importanti da poter fare la differenza tra l’esistenza di un diritto o la sua negazione.

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mensa-scolasticaE la mensa scolastica?

Accade spesso che i genitori, separati o divorziati, discutano di quali sono le spese straordinarie che quindi devono essere pagate “pro quota” oltre alle somme dovute con l’assegno di mantenimento.

Oggetto di discussione, fra gli altri, è anche il costo della mensa scolastica che ormai, sempre più di frequente, è necessaria se i figli hanno un orario scolastico che si prolunga anche nel pomeriggio.

Spese ordinarie e straordinarie

Va innanzitutto fatta una precisazione: la giurisprudenza prevalente e costante è nel senso di qualificare come “ordinarie” le spese atte a soddisfare i bisogni della quotidianità del figlio, e “straordinarie” quelle destinate a fronteggiare le esigenze conseguenti ad eventi imprevedibili o eccezionali.

Sulla base di tale precisazione, appare evidente che l’alimentazione è un’esigenza quotidiana dei figli e, quindi, deve ritenersi ricompresa nell’assegno di mantenimento.

Se, infatti, il minore consuma il pasto del mezzogiorno presso la mensa scolastica anziché presso la propria abitazione, ciò non può comportare, a carico del genitore tenuto a corrispondere l’assegno di mantenimento, l’obbligo di versare una somma ulteriore.

Consumato a casa o in mensa, il pasto è un’esigenza quotidiana del minore

In tal senso, si sono pronunciati i Giudici di vari Tribunali.

Ad esempio, il Tribunale di Milano che, con decreto del 27.11.2013, così ha deciso: “La mensa scolastica non riveste alcuna connotazione straordinaria, essendo solo una modalità sostitutiva della voce “vitto” domestico già compresa in qualsiasi assegno mensile”.

Anche il Tribunale di Novara ha stabilito che: “Giova precisare che nel concetto di spese scolastiche straordinarie non rientrano i buoni mensa che costituiscono mera sostituzione del pasto casalingo rientrante nel mantenimento ordinario” (Trib. Novara, Sent. del 26.03.2009).

Medesimo orientamento esprime anche il Tribunale di Roma (sez. I, sentenza del 09.10.2009) che ha ritenuto fondata ed ha accolto l’opposizione presentata dal padre contro le richieste della madre che pretendeva il pagamento ulteriore delle spese della mensa scolastica.

Il Tribunale di Roma afferma: “difetta nella specie il requisito della straordinarietà della spesa, dovendosi la spesa per la mensa scolastica generalmente ricondurre (ove, cioè, non espressamente prevista a parte) nella quantificazione dell’assegno ordinario mensile poiché relativa al vitto quotidiano, primaria costante necessità dei minori da soddisfare, indipendentemente dal luogo (casa o scuola). Il principio è ancor più pertinente nella specie trattandosi di spesa per una mensa di scuola pubblica, il cui importo è notevolmente inferiore al corrispondente ammontare necessario per assicurare a casa la soddisfazione della stessa esigenza”.

Tuttavia, bisogna evidenziare che, come emerge anche da quest’ultima pronuncia, se le parti concordano espressamente che il costo della mensa scolastica sia “ulteriore” rispetto all’assegno di mantenimento, le spese relative alla mensa scolastica andranno ad aggiungersi alla somma corrisposta con l’assegno di mantenimento.

Il Tribunale di Bergamo ritiene le spese della mensa “non coperte dall’assegno di mantenimento

Questo è l’orientamento, ad esempio, del Tribunale di Bergamo che definisce espressamente le spese della mensa come “non coperte dall’assegno periodico“.

I Giudici bergamaschi, pertanto, inseriscono espressamente la voce “mensa scolastica” nei propri provvedimenti identificandola come “spese scolastiche straordinarie per cui non è richiesto il preventivo accordo fra i genitori”.

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separazione consensualeLa separazione consensuale è la procedura che la legge prevede per consentire ai coniugi di separarsi legalmente di comune accordo.

Il presupposto della separazione consensuale, quindi, è che i coniugi trovino un accordo per regolamentare la propria vita da separati.

I coniugi devono concordare le modalità di affidamento condiviso e il mantenimento dei figli minori, l’assegnazione della casa coniugale e la divisione dei beni comuni.

La parte più delicata è dunque proprio la trattativa tra i coniugi per definire le condizioni della separazione.

Poiché gli accordi presi in questa fase saranno vincolanti per i coniugi, è importante avvalersi della consulenza e dell’assistenza di un avvocato divorzista, che consenta agli interessati di comprendere pienamente i propri diritti ed i propri doveri.

Con la separazione consensuale è inoltre possibile definire anche i rapporti patrimoniali tra i coniugi agevolandosi dell’esenzione fiscale.

Ogni trasferimento, anche immobiliare, deciso dai coniugi in sede di separazione consensuale, infatti, gode di una totale esenzione fiscale.

Ma basta l’accordo dei coniugi a dare efficacia alla separazione consensuale?

In realtà l’accordo dei coniugi è solamente il presupposto per la separazione consensuale; presupposto essenziale ma non è sufficiente.

Affinché i coniugi possano essere legalmente separati, infatti, è necessario che venga posta in essere una procedura volta ad ottenere l’omologazione della separazione consensuale da parte del Tribunale competente.

I termini dell’accordo raggiunto dovranno essere quindi riportati in un apposito ricorso che sarà depositato nell’apposita cancelleria del Tribunale dell’ultima residenza comune dei coniugi.

Il Tribunale fisserà poi un’udienza, alla quale dovranno partecipare entrambi i coniugi per confermare le condizioni di separazione già raccolte nel ricorso.

Dal giorno dell’udienza decorrerà quindi il termine semestrale, scaduto il quale i coniugi separati avranno facoltà di divorziare.

La separazione consensuale, dunque, a differenza della separazione giudiziale, consente ai coniugi di separarsi in tempi relativamente brevi, senza rovinarsi economicamente, definendo i rapporti patrimoniali e, soprattutto in presenza di figli minori, gettando le basi per un sereno rapporto.

Si tratta quindi spesso solo di scegliere la via più semplice e rapida per separarsi ed iniziare una nuova vita.

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affidamento condivisoAffidamento condiviso: un principio sancito nel nostro ordinamento e da cui derivano, per i genitori, non solo diritti, ma anche doveri.

Tale principio, infatti, come anche gli altri previsti dalle norme, è posto non a tutela dei genitori, ma nel preminente interesse del minore.

Minore che, secondo quanto previsto dal nostro ordinamento, ha diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori.

Per garantire questo equilibrio, alla cui base troviamo l’ affidamento condiviso, emerge dalle nostre norme anche un altro principio fondamentale, quello della bigenitorialità.

Entrambi i genitori si devono presumere idonei ad esercitare le loro responsabilità ed a divenire affidatari e/o collocatari dei figli.

I principi di affidamento condiviso e bigenitorialità

Dai principi di affidamento condiviso e bigenitorialità, che come detto tutelano l’interesse del minore, derivano per i genitori diritti ma, contemporaneamente, anche doveri.

Il dovere di rispettare le esigenze affettive del proprio figlio e garantire, per quanto possibile, una crescita equilibrata e serena.

Facciamo un esempio e pensiamo al diritto di visita.

Quando il Giudice dispone l’ affidamento condiviso del minore, normalmente colloca il bambino presso uno dei genitori e disciplina il diritto di visita relativamente all’altro genitore.

Ciò consente al minore di avere una certa stabilità e anche di poter trascorre del tempo con entrambi i genitori.

Ma cosa succede se il genitore viola continuamente il diritto (o meglio, il dovere) di visita?

Il rischio può essere quello di perdere l’ affidamento condiviso, poiché viene meno alle proprie responsabilità genitoriali.

Questa è proprio la conclusione alla quale sono giunte sia la Corte d’Appello che la Corte di Cassazione (Sent. n. 977/2017), la quale ha confermato la sentenza impugnata dalla madre.

I Giudici di entrambi i gradi di giudizio hanno rilevato, infatti, che “l’odierna ricorrente, nel corso di più di un anno, non aveva mai fatto ritorno in Italia, nemmeno per il numero minimo di incontri (tre) indicati dal consulente tecnico“.

Inoltre, gli unici contatti avuti dalla madre con il figlio erano avvenuti tramite cellulare o skype.

Tale modalità di comunicazione, tuttavia, non è stata ritenuta idonea a surrogare le visite del genitore assente.

Tale situazione è stata ritenuta pregiudizievole per l’interesse del minore.

Per tale motivo, la Corte d’Appello – con sentenza successivamente confermata in Cassazione – ha così disposto la revoca dell’ affidamento condiviso e la pronuncia di affidamento esclusivo a favore del padre, presso il quale il minore era peraltro già collocato.

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In caso di separazione o divorzio, oltre all’assegno di mantenimento per i figli, il Giudice può prevedere il pagamento di un assegno anche fra gli ex coniugi.

Capita spesso che, nel prendere questa decisione, il Giudice conceda o meno l’assegno a seconda della durata del matrimonio.

Quindi, se il matrimonio è stato “breve”, molto probabilmente non concederà l’assegno all’ex coniuge che lo richieda.

Tuttavia, così facendo, il Giudice decide in modo non del tutto corretto.

Il Giudice deve valutare l’adeguatezza dei redditi e non la durata del matrimonio

Infatti, la legge che disciplina il divorzio (Legge n. 898/1970) prevede espressamente che i presupposti che il Giudice deve valutare siano due:

che il richiedente l’assegno “non abbia redditi adeguati” e “non sia in grado di procurarseli per ragioni oggettive”.

Solo questi, quindi, devono essere i criteri considerati dal Giudice.

E non altre circostanze, ad esempio la durata del matrimonio, della quale il Giudice può “tenere conto”, ma solo per decidere in merito all’ammontare dell’assegno, una volta che abbia ritenuto di concederlo.

Con la conseguenza che spetta al Giudice fare ogni valutazione in merito e decidere caso per caso se accogliere la richiesta, ma solo sulla base dell’adeguatezza dei redditi.

Senza che al Giudice sia consentito di utilizzare, nella propria valutazione, altri e diversi criteri, quale ad esempio la durata del matrimonio.

Questo è quanto ribadito anche dalla Corte di Cassazione con la propria sentenza n. 275 del 10.01.2017.

Nel caso esaminato, sia il Tribunale in prima battuta, che la Corte d’appello in un secondo momento, avevano respinto la domanda di assegno formulata dal marito a carico della moglie.

La Suprema Corte ha ritenuto che i Giudici abbiano commesso un errore, poiché hanno fondato la loro decisione esclusivamente sulla durata del matrimonio.

Per tale motivo, il giudizio è stato ora rinviato dinanzi alla Corte d’Appello, la quale dovrà ora decidere nuovamente sul diritto o meno dell’ex marito ad ottenere il pagamento di un assegno da parte della moglie.

Decisione che dovrà essere presa, questa volta, valutando esclusivamente l’adeguatezza o meno dei redditi dei coniugi.

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Avvocato Elena SestiniSepararsi serenamente è solo una chimera o un un obiettivo realizzabile?

La separazione è sempre un momento difficile, non solo per i coniugi, ma per l’intera famiglia.

Da avvocato seguo spesso situazioni rese difficili ed inasprite dalle stesse tensioni che hanno originato la separazione.

Eppure da fuori sembra semplice: se i coniugi si separano proprio per tornare a vivere sereni, perché continuano a riproporsi l’un l’altro le stesse dinamiche che li hanno resi infelici?

La separazione dovrebbe costituire uno spartiacque tra la vita coniugale ed una nuova vita.

Ma quali sono i punti critici che dovranno essere sciolti per consentire ai coniugi di separarsi serenamente?

Quando i coniugi non hanno  figli, solitamente separarsi serenamente è più facile.

Una volta diviso il patrimonio, la vita riprende, sia pure con altri ritmi.

Nuova casa, nuove abitudini, nuovi rapporti e magari anche nuovi amici.

Rimane un unico strascico possibile: l’assegno di mantenimento.

Spesso l’assegno di mantenimento per il coniuge più debole resta l’unico filo sottile che continua a tenere legati i coniugi separati senza figli.

L’assegno di mantenimento al coniuge separato è, quindi, su entrambi i fronti, un tema caldo, che dovrà essere ben ponderato da ciascun coniuge con il proprio avvocato e costituirà in certi casi proprio il punto critico da sciogliere per consentire ai coniugi di separarsi serenamente.

La legge offre soluzioni alternative all’assegno periodico solo in occasione del divorzio, nulla vieta tuttavia di poter modulare il diritto al ricevimento dell’assegno con delimitazioni temporali ovvero legate ad un’occasione di lavoro.

La soluzione migliore, non solo consentirà ai coniugi di separarsi serenamente ma, probabilmente, anche di arrivare ad un sereno divorzio.

Quando però i coniugi hanno formato una famiglia, i figli sono certamente i primi a risentire della separazione ed a renderla quindi ancora più difficile per entrambi i genitori.

Risolvere i problemi legati alla gestione dei figli , infatti, può consentire di separarsi serenamente.

Sembra facile, vero?

In realtà è normale  che i coniugi, ancora troppo focalizzati ciascuno sulle proprie rivendicazioni, non siano in grado di spostare l’attenzione da sé ai figli.

Sarà quindi l’avvocato a dover focalizzare l’attenzione dei coniugi in questa direzione per far prevalere in loro il sentimento genitoriale.

In verità, è la legge stessa che indica le linee guida per la gestione dei figli dopo la separazione dei genitori e che invita i coniugi a privilegiare, per quanto possibile, la continuità per i figli.

In tal senso si devono leggere le norme sull’assegnazione della casa al coniuge che prevalentemente vivrà con i figli e sempre in tal senso viene determinato l’assegno di mantenimento per i figli da parte dell’altro genitore.

Se poi il punto critico della separazione sarà proprio la decisione di chi dovrà vivere con i figli, un buon suggerimento è quello di considerare nuovamente il criterio della continuità.

Quale dei due genitori è stato nel corso della convivenza il genitore di riferimento per i figli?

Quale dei due genitori, cioè, si è sempre occupato dei figli in modo prevalente rispetto all’altro?

Ancor più semplicemente: chi si è sempre occupato di svegliare i bambini al mattino, di preparare loro la colazione, di prepararli per l’asilo o la scuola e magari anche di portarceli? Chi parla con le maestre? Chi gestisce i rapporti con gli amichetti ed i loro genitori? Chi compra loro vestiti e scarpe? Chi porta i figli dal medico quando sono malati? Chi somministra loro le medicine? Chi li lava, li cambia, li mette a letto la sera?

Salvo rari casi, in ogni famiglia, sebbene qualche compito sia distribuito, uno solo è il genitore di riferimento.

Ciò non significa che l’altro genitore sia meno importante, anzi, la sua presenza nella vita dei figli anche dopo la separazione è tutelata dalla legge e dovrà essere resa effettiva.

Spesso sarà proprio l’avvocato a dover aiutare l’altro genitore a dare il giusto ascolto alle esigenze dei figli ed a riconoscere, quindi, il ruolo dell’altro genitore nella loro vita.

In merito devo dire che, per esperienza, non sorgono grandi problemi in tal senso quando il genitore di riferimento è la mamma, perché i padri sono generalmente disposti a riconoscerle il proprio ruolo.

Non sempre accade lo stesso nei – certo più rari – casi in cui il genitore di riferimento è il papà.

Sebbene in questi casi la mamma abbia lasciato al padre il ruolo preminente nella gestione quotidiana dei figli anche nel corso della convivenza, spesso non è disposta a riconoscerlo e allora questo diventa il punto cruciale da superare per potersi separare serenamente.

Separarsi serenamente è dunque possibile, quando i coniugi o i genitori sono in grado di riconoscere il punto critico della separazione e risolverlo mettendo da parte le rivendicazioni che li hanno portati alla separazione.

 

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genitori-pari-meritoIn tema di affidamento, la tendenza più diffusa è quella di considerare come “preferita”, fra i genitori, la mamma.

Tuttavia, lo stato di diritto nel nostro Paese è ben diverso.

Entrambi i genitori devono ritenersi, a pari merito, idonei all’affidamento

Entrambi i genitori hanno uguali diritti e doveri.

Entrambi i genitori si devono presumere idonei ad esercitare le loro responsabilità.

Ed infatti, per esempio, non si parla più di potestà – del padre o della madre – bensì di “responsabilità genitoriale”.

Si è abbandonata la prevalenza di uno sull’altro, per una sostanziale parità.

Affido condiviso e responsabilità genitoriale sono le parole chiave

Questo è il principio rimarcato anche dalla previsione dell’affido condiviso, in forza del quale deve presumersi che entrambi i genitori sono idonei, a pari merito, alla gestione dei figli.

Tale presunzione opera finché non vi sono dati di fatto che provano il contrario.

Tutti questi principi sono stati di recente considerati e ben espressi da un Giudice del Tribunale di Catania che, con il proprio provvedimento del 2 dicembre 2016, ha esaminato in modo puntuale e logico la questione sottopostale e le relazioni dei consulenti, concludendo che, nel caso di specie, sembrava da preferire il collocamento del minore presso il padre.

In sostanza, il Giudice ha dapprima segnalato la necessità che i genitori debbano avere come obiettivo primario, se non addirittura esclusivo, non il proprio interesse, bensì l’interesse del figlio: il suo equilibrio psichico, sociale, affettivo.

Equilibrio che può essere meglio perseguito in un contesto di parità fra i genitori.

Alla base della valutazione devono esserci l’eguaglianza dei genitori e l’interesse del minore

Il Giudice ha affermato, poi, che nell’ambito di una separazione, pur partendo da un “pari merito”, dev’essere fatta una scelta fra i genitori per il collocamento dei figli.

E nel caso di specie, ha rilevato che è il padre ad essere più equilibrato dal punto di vista emotivo e psicologicamente più solido, meglio orientato ai doveri verso il figlio ed alle necessità del bambino.

Al contrario, la madre è apparsa più fragile e disorientata, più concentrata verso se stessa ed i propri problemi che verso le necessità del figlio.

E’ stato quindi disposto l’affido condiviso con collocamento del bambino presso il padre, disciplinando il diritto di visita a favore della madre e l’obbligo per quest’ultima di contribuire al mantenimento del minore.