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separazione e divorzioState affrontando separazione e divorzio e vorreste farlo in Comune anziché in Tribunale?

La nuova procedura, che consente di ricorrere all’Ufficiale dello Stato Civile anziché al Tribunale per separazione e divorzio e anche per la modifica delle condizioni di separazione e divorzio precedenti, è stata introdotta con la riforma avuta nel 2014 (d.l. n. 132/14 e legge n. 162/14).

Separazione e divorzio in Comune: bisogna rispettare alcune condizioni

A tale procedura si può ricorrere a condizione che “non vi siano figli minori, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero non economicamente autosufficienti”.

Questa, però, non è l’unica condizione, in quanto la legge prevede anche che: “l’accordo non può contenere patti di trasferimento patrimoniale”.

Tuttavia, una circolare del Ministero dell’Interno (n. 6 del 24.4.15) ha interpretato tale condizione nel senso che è escluso da tale divieto “l’obbligo di pagamento di una somma di denaro a titolo di assegno periodico”.

Conseguenza: in forza di tale circolare, sembra possibile che l’accordo di separazione e divorzio fatto in Comune possa riguardare anche gli aspetti patrimoniali se questi sono relativi al pagamento, da parte di un coniuge ed a favore dell’altro, di un assegno periodico (cosiddetti assegno di mantenimento e assegno divorzile).

La nuova procedura e l’assegno a favore del coniuge

Tale interpretazione, tuttavia, è stata contestata dinanzi al TAR del Lazio che, con sentenza n. 7813 del 07.07.16, ha annullato la Circolare del Ministero dell’Interno.

Il TAR ha affermato, con la propria pronuncia, che la procedura di separazione e divorzio dinanzi all’Ufficiale di stato civile è una procedura agevolata e semplificata, che tuttavia può essere seguita solo in presenza di condizioni che non danneggino i soggetti deboli, che con tale procedura non hanno alcuna forma di tutela.

Infatti, l’Ufficiale di stato civile deve solo “registrare” la decisione dei coniugi di separarsi o divorziare, senza poter entrare nel merito degli accordi, a differenza di quanto avviene quando i coniugi sono assistiti da un legale che, invece, fornisce ai coniugi tutte le indicazioni relative a conseguenze, vantaggi e svantaggi delle scelte che stanno facendo.

Prevedere, quindi, che davanti all’Ufficiale di stato civile i coniugi si possano accordare per il pagamento di un assegno periodico, senza che siano spiegate le conseguenze di tale scelta, potrebbe comportare un danno per il soggetto debole, circostanza che, afferma il TAR, si deve evitare.

In conclusione, qualora i coniugi siano interessati a concordare il pagamento di un assegno periodico, non gli sarà possibile affrontare separazione e divorzio in Comune, ma sarà loro necessario (e opportuno) farsi assistere da un legale.

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contratto di convivenza

Il contratto di convivenza è una novità introdotta nel diritto di famiglia dalla legge n. 76/2016 detta Legge Cirinnà e consente ai conviventi di fatto di regolamentare così “i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune”.

Ovviamente ma non è necessario che una coppia di fatto stipuli un contratto di convivenza, ma può essere opportuno per mettere in chiaro e nero su bianco come i conviventi intendono regolare i rapporti economici e patrimoniali che dalla convivenza derivano.

Per stipulare un contratto di convivenza bastano due righe scritte su un foglio qualunque e firmate da entrambi? No! E’ necessario che i conviventi si rivolgano ad un notaio o ad un avvocato.

I contratti di convivenza devono essere sì “redatti in forma scritta, a pena di nullità” e la stipula deve avvenire “con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico”.

Il contratto di convivenza firmato dal notaio o dall’avvocato non sarà però solamente vincolante per i conviventi che lo hanno firmato, ma sarà reso pubblico e quindi “opponibile ai terzi”, esattamente come il regime patrimoniale scelto dai coniugi.

Il professionista che ha ricevuto l’atto in forma pubblica o che ne ha autenticato la sottoscrizione, infatti, dovrà, entro i successivi dieci giorni, trasmetterne copia al comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe.

Il contratto di convivenza può contenere:

a)  l’indicazione della residenza scelta dai conviventi;
b)  le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo;
c)  il regime patrimoniale della comunione dei beni, poiché, in assenza di previsione, i conviventi di fatto mantengono ovviamente separati i propri beni e patrimoni.

Il regime patrimoniale scelto nel contratto di convivenza può essere modificato in qualunque momento nel corso della convivenza, ma sempre rivolgendosi al notaio o dall’avvocato.

Ovviamente il contratto di convivenza è affetto da nullità insanabile che può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse se concluso:

a)  in presenza di un vincolo matrimoniale, di un’unione civile o di un altro contratto di convivenza;
b)  da persone legate da vincoli di parentela, affinità o adozione;
c)  da persona minore di età;
d)  da persona interdetta giudizialmente;
e)  in caso di condanna per omicidio o tentato omicidio da parte di un convivente nei confronti del coniuge dell’altro convivente.

Il contratto di convivenza termina per:

a)  accordo delle parti;
b)  recesso unilaterale;
c)  matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona;
d)  morte di uno dei contraenti.

Anche per porre termine al contratto di convivenza, i conviventi si devono recare nuovamente dal professionista che lo aveva redatto, il quale dovrà provvedere a darne comunicazione all’ufficio anagrafe e, in caso di recesso unilaterale a  notificarne copia all’altro contraente all’indirizzo risultante dal contratto di convivenza stesso.

Se nel contratto di convivenza era stato scelto il regime patrimoniale della comunione dei beni, la sua risoluzione determina lo scioglimento della comunione medesima, secondo le stesse modalità previste per lo scioglimento della comunione tra coniugi.

Nel caso in cui la casa familiare sia nella disponibilità esclusiva del convivente che recede dal contratto di convivenza, la dichiarazione di recesso, a pena di nullità, deve contenere il termine, non inferiore a novanta giorni, concesso al convivente per lasciare l’abitazione.

Il tempo dirà se questo strumento sarà apprezzato ed utilizzato dalle coppie di fatto ma certamente il legislatore ha in questo modo aperto una porta ai contratti pre-matrimoniali.

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mantenimento figli maggiorenniÈ risaputo che, se a carico del genitore (separato o divorziato) è previsto l’obbligo di contribuire al mantenimento dei figli, tale obbligo normalmente prosegue anche quando gli i figli diventano maggiorenni.

Infatti, il diritto dei figli al mantenimento non è legato solo all’età, ma è giustificato dal fatto che il genitore deve consentire ai propri figli di realizzare un progetto educativo ed un percorso formativo, “tenendo conto delle capacità, dell’ inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli” (art. 147 del codice civile).

I figli hanno quindi diritto, ad esempio, di poter scegliere e seguire un corso di studi o corsi professionali la cui durata, normalmente, va oltre il compimento della maggiore età.

Con la conseguenza che, al raggiungimento della maggiore età, i figli non hanno ancora potuto raggiungere una propria indipendenza economica e il genitore resta obbligato a corrispondere il mantenimento.

La cessazione dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti deve essere fondata su un accertamento di fatto

Tuttavia, con una recentissima pronuncia (sentenza n. 12952 del 22.06.16) la Corte di Cassazione ha pronunciato il seguente principio di diritto: “la cessazione dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti deve essere fondata su un accertamento di fatto che abbia riguardo: all’età, all’effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all’impegno rivolto verso la ricerca di un’occupazione lavorativa ed, in particolare, alla complessiva condotta personale tenuta dal raggiungimento della maggiore età da parte dell’avente diritto”.

La Suprema Corte, pronunciandosi a favore di un padre che aveva chiesto la cessazione dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni (rispettivamente nati nel 1980 e nel 1982), ha ritenuto che, “con il raggiungimento di un’età nella quale il percorso formativo e di studi, nella normalità dei casi, è ampiamente concluso e la persona è da tempo inserita nella società”, se non vi sono ragioni individuali specifiche (quali motivi di salute o particolari esigenze personali o oggettive difficoltà nel trovare o conservare un’occupazione), “la condizione di persistenze mancanza di autosufficienza economico reddituale costituisce un indicatore forte di inerzia colpevole”.

La mancanza di volontà, da parte dei figli, nel trovare un’occupazione che gli consenta di rendersi autonomi costituisce un indicatore forte di inerzia colpevole

Nel caso sottoposto alla Corte, esaminati i fatti rappresentati in causa dal padre obbligato al mantenimento, è emersa una vera e propria mancanza di volontà, da parte dei figli, nel trovare un’occupazione che gli consentisse di rendersi autonomi.

Tale specifica condotta comporta un ingiustificato prolungamento del diritto dei figli al mantenimento e, per tale motivo, non può essere tutelata altrimenti si giustificherebbe una forma di parassitismo “contrastante con il principio di autoresponsabilità”, anche tenuto conto che, se è vero che i genitori hanno dei doveri verso i figli, è altrettanto vero che i figli adulti hanno anch’essi doveri nei confronti dei propri genitori.

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35114987 - concept family: happy couple in the new apartment dream and plan interior

Le coppie di fatto esistono ancora? Quali diritti e quali doveri per i conviventi dopo la legge Cirinnà, che ha rivoluzionato il diritto di famiglia?

Regolamentando diritti e doveri dei conviventi, la Legge Cirinnà ha trasformato quelle che un tempo erano coppie di fatto in coppie “di diritto” a tutti gli effetti.

Ora dunque, anche se  due «conviventi di fatto», ossia – come spiega la legge Cirinnà – “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”, volessero la sola convivenza, rischierebbero di vedersi attribuire comunque, per legge, parte dei medesimi diritti e doveri che sono attribuiti ai coniugi.

Con la differenza, non irrilevante, che i coniugi hanno consapevolmente scelto di sposarsi e progettato una vita familiare basata sul vincolo matrimoniale.

Per la verità potranno ben essere condivise norme di civiltà che equiparano i conviventi ai coniugi, attribuendo loro i medesimi diritti di visita e di assistenza in caso di ricovero o di carcerazione del compagno, o il diritto di concorrere a pari merito con coppie sposate per l’attribuzione di un alloggio popolare, o ancora di veder riconosciuto il proprio diritto al risarcimento del danno morale ove la morte del compagno sia causata dal fatto illecito di altri (per esempio in conseguenza di un grande sinistro) o di proseguire il contratto di locazione alla morte del compagno.

E’ giusto che chi pensava a cuor leggero alle conseguenze di una semplice convivenza sappia tuttavia che la legge prevede anche un diritto del convivente ad ottenere gli alimenti dall’altro convivente in caso di cessazione del rapporto, qualora si trovi in stato di bisogno e non abbia la possibilità di provvedere al proprio mantenimento.

Gli alimenti possono però essere assegnati dal Giudice solo per un periodo proporzionale alla durata della convivenza.

La legge Cirinnà introduce per le coppie di fatto una novità assoluta: il “contratto di convivenza”.

I conviventi potranno decidere la propria residenza e regolamentare le modalità di contribuzione economica al sostegno della famiglia, oltre che adottare, se lo vorranno, il regime patrimoniale della comunione di beni.

Un’ultima rassicurante annotazione: non sarà necessario ricorrere al Giudice per sciogliere una coppia di fatto, nemmeno se i conviventi avranno stipulato un contratto di convivenza, a meno che la presenza di figli da affidare, la necessità che un convivente passi all’altro gli alimenti, o altre circostanze non risolvibili con un accordo lo richiedano.

Il diritto di famiglia continua ad evolvere insieme alla società ed ora attendiamo

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assegno-di-mantenimentoNell’ambito del diritto di famiglia, può accadere che il genitore che deve pagare l’ assegno di mantenimento per il figlio non vi provveda.

In questo caso, accanto al metodo tradizionale di recupero forzoso (pignoramento), la legge prevede un modo speciale per incassare le somme dell’ assegno di mantenimento, che consente di riscuotere direttamente le somme, con il solo intervento del legale e senza necessità dell’intervento del Giudice.

La procedura è prevista dalla legge sul divorzio (art. 8) con riferimento al mantenimento dovuto per i figli nati nell’ambito del matrimonio, ma è applicabile – in quanto espressamente richiamata dalla normativa – anche nel caso in cui l’ assegno di mantenimento debba essere corrisposto dal genitore a favore di figli nati fuori dal matrimonio.

Perché si possa attivare tale procedura, è necessario che vi sia un assegno di mantenimento da pagare e che ci siano dei soggetti terzi che sono tenuti a corrispondere periodicamente somme di denaro al genitore obbligato (quindi: datore di lavoro, enti pensionistici, conduttori di immobili, etc.)

La procedura ha inizio con l’invio di una raccomandata al genitore obbligato che non ha pagato l’ assegno di mantenimento ed ha un ritardo nel pagamento di almeno 30 giorni.

Se la “messa in mora” non induce il genitore inadempiente a pagare quanto dovuto, il legale procede inviando al terzo un invito a corrispondere direttamente lui stesso le somme dovute  a titolo di assegno di mantenimento, trattenendole dalle somme che il terzo stesso deve periodicamente al genitore obbligato.

Al tempo stesso, dell’invio di tale invito deve essere data comunicazione anche al genitore inadempiente.

Dal momento della ricezione del suddetto invito, il terzo sarà quindi tenuto a pagare direttamente l’ assegno di mantenimento con le modalità che gli sono indicate nell’invito.

Tale procedura consente ovviamente di ottenere il pagamento dell’ assegno di mantenimento per quanto riguarda le somme “future”, dovute cioè successivamente all’attivazione della procedura.

Per poter recuperare le somme arretrate dovute a titolo di mantenimento, dovrà invece essere utilizzato il metodo tradizionale del pignoramento, con il conseguente intervento del Giudice.

 

 

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unioni civiliIl 5 giugno 2016 entrerà in vigore la legge Cirinnà n. 76 del 20.05.2016, che regolamenta le unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina le convivenze.

E’ una riforma epocale del diritto di famiglia! Ma come si attuano in concreto le Unioni civili? E cosa comportano?

La volontà del legislatore è chiara: dare anche alle persone dello stesso sesso unite da un legame affettivo, che intendano condividere un percorso di vita insieme, la possibilità di formare  una famiglia riconosciuta ad ogni effetto di legge, con i medesimi diritti ed i medesimi doveri che assumono i coniugi nel matrimonio.

Per costituire un’unione civile, due persone maggiorenni dello stesso sesso devono rendere una dichiarazione davanti all’ufficiale dello stato civile (il Sindaco o un suo delegato) alla presenza di due testimoni.

Le parti dell’unione civile potranno stabilire di avere un cognome comune, scegliendolo tra i loro cognomi ed in tal caso la parte che assumerà il cognome dell’altra potrà decidere di anteporlo o posporlo al proprio.

Con l’unione civile entrambe le parti acquistano pari diritti e doveri, assumendo l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale, oltre che alla coabitazione; sceglieranno di dare un indirizzo alla propria vita familiare e fisseranno una residenza comune.

Se non verrà scelto un regime patrimoniale diverso, con l’unione civile sarà costituita la comunione dei beni tra le parti.

Le parti dell’unione civile avranno reciproco diritto al TFR  dell’altra parte ed alla pensione di reversibilità, in caso di decesso, ed godranno dei medesimi diritti attribuiti ai coniugi in materia di eredità e donazioni.

Sostanzialmente le stesse cause che provocano lo scioglimento del matrimonio, causeranno lo scioglimento dell’unione civile, alla quale si applicherà la disciplina prevista per il divorzio.

“Al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile”, tutte le norme che contengono la parola “coniuge” o definizioni equivalenti si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, con un’eccezione “illustre” in materia di affidamento e adozione dei figli minori.

Ma dal 5 giugno 2016 si potranno già contrarre unioni civili?

Teoricamente si, considerato che le norme sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso saranno efficaci dall’entrata in vigore della legge.

E’ però previsto che il Governo avrà 30 giorni di tempo per stabilire le norme transitorie necessarie per la tenuta dello stato civile, quindi può essere che sia necessario un breve periodo di assestamento.

Entro 6 mesi il Governo dovrà poi emanare decreti legislativi volti a rendere effettiva l’applicazione della legge sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso.

Devono infatti essere adeguate le procedure burocratiche dei registri anagrafici dello stato civile, nonché le norme di diritto internazionale privato, per recepire come unioni civili e legalizzare anche in Italia le coppie formate da persone dello stesso sesso che abbiano contratto matrimonio all’estero.

Probabilmente questa legge indurrà tutti gli operatori del diritto di famiglia a riflessioni di più ampio respiro, che porteranno ad una sempre maggiore integrazione tra le diverse normative ed anche per questo costituisce indubbiamente una svolta epocale.

La legge contiene però anche una seconda parte, volta a disciplinare le “convivenze di fatto” tra due persone maggiorenni, unite stabilmente da legami affettivi di coppia, che non abbiano contratto matrimonio (se di sesso diverso) o unione civile (se dello stesso sesso).

Anche questa seconda parte merita una riflessione… che rimandiamo però ai prossimi articoli!

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Separazione consensuale o giudiziale?-“Cosa vuol dire che si può fare una separazione consensuale o giudiziale? Come faccio a scegliere?”
La domanda mi stupiva e capivo di dover dare un chiarimento.

-” La separazione consensuale non la può scegliere da solo”, spiegavo al mio cliente che era convinto di poter optare tra due soluzioni.
-“La separazione consensuale si chiama così proprio perché è frutto di un accordo tra i coniugi che si vogliono separare, i quali, dopo aver concordato tutte le condizioni della loro separazione (per es. affidamento dei figli, assegnazione della casa, mantenimento), si danno reciproco consenso a separarsi a quelle condizioni”.
-“Insomma, la separazione consensuale si può scegliere solo in due!” – concludeva il mio cliente, dimostrando di aver capito perfettamente.
-“La separazione giudiziale, invece – proseguivo – la presenta uno dei coniugi quando non ha trovato, o non vuole trovare, un accordo con l’altro coniuge, perché per separarsi non gli resta altra via”.
-“Sì ma la giudiziale dura di più?”- mi incalzava il mio cliente.
-“Ovviamente la separazione consensuale si esaurisce in un’udienza sola, nella quale il Giudice verifica che le condizioni di separazione decise dai coniugi tutelino i figli e raccoglie le firme dei coniugi; mentre la separazione giudiziale potrebbe durare anni (se ci sono effettive ragioni di contesa), oppure trasformarsi anch’essa in una separazione consensuale durante la prima udienza, quando il Giudice tenta la conciliazione delle parti”.
Il mio cliente mi guardava pensieroso e sentenziava:-“Va beh, ho capito che è meglio che tenti di accordarmi con mia moglie, visto che per noi, e soprattutto per i bambini, sarebbe assurdo trascinare la separazione per anni”-
-“Saggia decisione!”

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Riduzione assegno mantenimentoL’assegno per il contributo al mantenimento dei figli può scendere quando i figli stessi si trasferiscono presso il coniuge obbligato.

Questa la decisione della Corte di Cassazione che, con il provvedimento n. 8151 del 22 aprile 2016, accoglie il ricorso di un papà presso il quale erano stati trasferiti i due figli adolescenti, inizialmente rimasti a vivere con la mamma.

La pronuncia della Cassazione è emessa nell’ambito di un procedimento di modifica delle condizioni di divorzio.

La Suprema Corte afferma espressamente che il trasferimento dei figli dall’uno all’altro genitore richiede una rivalutazione delle condizioni economiche dei genitori, poiché la legge prevede che i genitori provvedano al mantenimento dei figli in misura proporzionale al loro reddito.

Secondo la Corte, è in ogni caso necessario verificare anche le mutate esigenze dei figli, alla luce dell’aumento dell’età e della situazione concreta.

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Rimborso spese straordinarie nell'affidamento condiviso“Mio figlio è andato ad un camp estivo con la sua squadra di calcio e mia moglie ora mi chiede il rimborso delle spese…” – mi spiega il mio cliente, sottintendendo una domanda che rimane sospesa.
“Sì!” – rispondo io –
“Sì cosa?” – ribatte lui, fingendo di non capire.
“Sì, deve contribuire anche lei!” – ribadisco io
“E perché? Lei non me lo ha chiesto prima” – ribatte lui col tono di chi ha letto bene il Protocollo del Tribunale sulle spese straordinarie e sa che certe spese, tra cui quella in questione, vanno previamente concordate.
“Lei sapeva che Suo figlio andava al camp?” – gli chiedo io
“Sì certo!” – risponde lui, aggiungendo “Mia moglie me lo ha detto … ma soprattutto me ne ha parlato il ragazzo, perché era eccitato e contento. Sa com’è … era la prima volta”.
“Bene! E allora paghi la sua parte!” – gli intimo io.

E’ vero che il Protocollo del Tribunale di Bergamo, così quasi tutti i Protocolli ultimamente adottati dai tribunali italiani sulle spese straordinarie relative ai figli di genitori separati prevede che alcune spese siano previamente concordate tra le parti, ma è anche vero che un eventuale dissenso, dovrebbe essere tempestivamente comunicato e supportato da validi motivi.
La Corte di Cassazione si è infatti recentemente pronunciata in tal senso, sostenendo, in materia di spese straordinarie che “ trattandosi di decisione “di maggiore interesse” per il figlio […]nel caso di mancata concertazione preventiva e di rifiuto di provvedere al rimborso della quota di spettanza da parte del coniuge che non le ha effettuate, il giudice è tenuto a verificare la rispondenza delle spese all’interesse del minore mediante la valutazione della commisurazione dell’entità della spesa rispetto all’utilità e della sostenibilità della spesa stessa rapportata alle condizioni economiche dei genitori”.
Nel caso in questione il mio parere considerava tutti gli elementi valutati dalla Corte: la spesa era ragionevole e sostenibile per entrambi i genitori e certamente rispondeva all’interesse del minore. Il mio cliente, al contrario, non solo non aveva buone ragioni per non partecipare alla spesa, ma aveva evidentemente in animo una piccola vendetta nei confronti della moglie; vendetta che gli sarebbe poi costata più della partecipazione alla spesa.
Il buon senso e l’attenzione all’interesse dei figli è bene che rimanga sempre il faro di ogni azione dei genitori separati.

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sottrazione internazionale di minoreVi racconto la storia di una sottrazione internazionale di minore: è la storia di Andrea e Brigit, simile purtroppo a quella di tanti altri genitori …

Lui è italiano, lei tedesca ed insieme creano una famiglia in Italia.

Quando i loro figlioletti hanno appena 2 e 3 anni, la coppia entra in crisi e si rivolge al Tribunale italiano per le decisioni sulle modalità di affidamento dei bambini.

Brigit però, all’improvviso e nonostante gli accordi già presi in prima udienza con il marito, prende i bambini e li porta con sé in Germania.

Brigit non intende tornare in Italia. Andrea, quindi, non può più vedere i bambini: cosa può fare?

In caso di sottrazione internazionale di minore, la Convenzione dell’Aja del 1980 prevede una procedura agevolata.

E’ infatti previsto che venga coinvolta un’apposita Autorità Centrale presso il Ministero di Giustizia, che si attiva con le corrispondenti Autorità del paese ove i bambini sono stati trasferiti (in questo caso la Germania) per ottenerne il ritorno.

Nel frattempo però il Tribunale italiano, già coinvolto dalla coppia, revoca l’affidamento condiviso, sospende la madre dalla responsabilità genitoriale ed affida i bambini al padre, ritenendo che Brigit, sottraendo i figli al loro papà, abbia manifestato evidenti inadeguatezze genitoriali.

La storia vuole dare una speranza ai padri separati perché il tempo ed il ruolo sempre maggiore riconosciuto al padre anche dal diritto di famiglia, sta sfatando i vecchi miti: non è infatti più vero che i bambini li affidano sempre alle mamme!