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Ma le società … prendono la pensione??

indennità fine rapporto“OGGETTO: DISDETTA DAL CONTRATTO DI AGENZIA
Spettabile casa mandante, disdetta dal contratto di agenzia per pensionamento. Finito il preavviso rimango in attesa del pagamento delle indennità di fine rapporto.
Distinti saluti
AGENZIA PALLINA S.R.L.”

“Avvocato” – mi contatta una azienda cliente – “un mio agente è andato in pensione, mi ha mandato questa comunicazione, le mando i dati, mi prepara i conteggi delle indennità?”.

“Mi scusi dottore, ma perché vuole pagare le indennità? A parte la quota del FIRR di quest’anno, altre indennità non sono dovute.

Se è vero, come mi risulta dalla lettera, che il mandato era con la s.r.l., le società non vanno in pensione e quindi si tratta di una disdetta ordinaria, cui segue la perdita delle indennità da parte dell’agenzia. La legge infatti esclude il diritto alle indennità di fine rapporto se l’agente da le dimissioni”.
Il cliente perplesso prova a spiegarmi che sì, il mandato era con la s.r.l. ma che di fatto l’attività di agente era sempre stata svolta dall’amministratore della società. Anzi, all’inizio il mandato era intestato proprio all’agente individuale, poi l’agente aveva comunicato che aveva fatto una s.r.l. e quindi il rapporto era proseguito così, ma dietro c’era sempre lui.

“E’ proprio questo il punto – rispondo – L’agente a suo tempo ha fatto una scelta precisa, probabilmente più favorevole dal punto di vista fiscale o previdenziale, ma che ha determinato una modifica sostanziale sul piano giuridico. Scegliendo di diventare una società, per di più di capitali, ha creato una struttura diversa da sè stesso o dalle persone che vi lavorano. Una struttura che non si infortuna, non si ammala e non va nemmeno in pensione. Teoricamente nulla avrebbe vietato al legale rappresentante (salvo vedere cosa è stato scritto nel contratto di agenzia) di passare la mano, senza che questo si riflettesse sul contratto di agenzia che poteva tranquillamente proseguire”. “La comunicazione che ha ricevuto – proseguo – corrisponde dunque ad un recesso ordinario dell’agenzia, e quindi lei è libero di non riconoscere nulla”.

Sapevo che ragioni di ordine morale gli avrebbero impedito di rispondere in questo modo all’agente che da oltre 20 anni aveva lavorato per lui e che alla fine le indennità gliele avrebbe riconosciute, ma l’acquisita consapevolezza gli avrebbe consentito di dare maggior valore al proprio gesto oltre che a tenerne conto in future occasioni.

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Il procacciatore d’affari non ha le stesse limitazioni di un agente di commercio in tema di concorrenza sleale.

Procacciatore d'affari

Il procacciatore d’affari può avere anche più committenti.

Di conseguemza, alcuna attività illecita compie il procacciatore nel caso in cui si avvalga di diversi “mandanti” per soddisfare le esigenze dei propri clienti.

Questi i principi fondamentali in materia di concorrenza sleale e contratto di procacciamento d’affari.

Entriamo nel dettaglio della questione.

Il procacciatore d’affari e l’agente di commercio sono due figure ben distinte, pur presentando alcune affinità.

Non è sempre facile distinguere una figura rispetto all’altra, anche se la disciplina del procacciamento d’affari e del contratto di agenzia risulta differente sotto diversi aspetti.

Le figure di cui sopra sono legate da una certa affinità (si consideri che al procacciamento d’affari si applicano le medesime disposizione del contratto di agenzia, qualora compatibili) che rende, a volte, difficile comprendere la reale natura del rapporto nel caso concreto.

In linea generale, possiamo dire che con il contratto di agenzia l’agente si obbliga a promuovere la conclusione di contratti per conto della casa mandante in una determinata zona di mercato.

Il procacciatore d’affari, invece, non assume alcun obbligo in tal senso, avendo esclusivamente la facoltà di segnalare opportunità commerciali al preponente.

Il procacciatore d’affari, quindi, non ha vincoli di stabilità con il committente, potendo agire in totale autonomia.

Il rapporto, quindi, si caratterizza per l’occasionalità ed episodicità della prestazione, in contrasto con il contratto di agenzia che invece si contraddistingue per la stabilità e continuità del rapporto.

Ne consegue che il procacciatore d’affari non è tenuto all’obbligo di eslcusiva previsto per l’agente.

Il Codice Civile stabilisce che l’agente di commercio non può assumere l’incarico di trattare, nella stessa zona e per lo stesso ramo, gli affari di più imprese in concorrenza tra loro.

L’agente, pertanto, ha diritto che il preponente non nomini altri agenti nella stessa zona e in riferimento agli stessi affari da lui trattati.

A sua volta il preponente ha il diritto a che l’agente non promuova la conclusione di affari per imprenditori concorrenti.

Tale diritto di esclusiva, come anticipato, non può essere applicato al procacciatore d’affari.

Se sei un imprenditore e vuoi avvalerti di collaboratori esterni per la promozione dei Tuoi prodotti, potrai utilizzare un agente o una  rete di agenti, oppure uno o più procacciatori d’affari.

La scelta dipenderà dalla strategia commerciale e di marketing che vorrà porre in essere l’imprenditore.

Avv. Lorenzo Coglitore

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Diritto di opzione e patto di non concorrenza: la scelta di attivare o meno il relativo obbligo può spettare al datore di lavoro.

diritto di opzione

L’argomento è di grande attualità.

Sempre più spesso i datori di lavoro fanno firmare ai propri dipendenti un patto di non concorrenza.

La legge consente a datore di lavoro e dipendente di stipulare un patto con il quale viene limitato lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro per il tempo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro.

Per la validità del patto, è richiesta la puntuale indicazione del corrispettivo a favore del dipendente e dei limiti di oggetto, di tempo e di luogo entro cui sarà contenuto il vincolo lavorativo.

Così facendo, il datore di lavoro vuole proteggere il know how dell’azienda, evitando che l’ex dipendente svolga successivamente un’attività in concorrenza con quella della società.

C’è però un problema di natura economico.

Al momento dell’assunzione il datore di lavoro non sa se il vincolo del patto di non concorrenza si renderà necessario al termine della collaborazione.

Il rischio per il datore di lavoro è quello di un inutile esborso economico.

La questione, pertanto, è quando e in che modo il datore di lavoro possa scegliere di non attivare detto patto e lasciar libero il proprio dipendente.

Una prima alternativa potrebbe essere quella del recesso unilaterale da parte del datore di lavoro, consentendo a quest’ultimo di uscire dal patto prima che questo venga eseguito.

Recentemente, tuttavia, la Corte di Cassazione ha decretato la nullità della clausola che rimette all’arbitrio del datore di lavoro la risoluzione del patto di non concorrenza.

Così facendo, per esempio, verrebbe meno il pagamento del compenso (relativo al patto) al dipendente, rimandendo delusa la sua aspettativa di remunerazione.

Altra soluzione, più flessibile, è rappresentata dal diritto di opzione.

Può essere consentito alle parti di accordarsi in maniera tale che una di esse rimanga vincolata alla propria dichiarazione per un certo periodo di tempo, essendo facoltà dell’altra decidere se “approfittare” o meno della dichiarazione.

Datore di lavoro e dipendente possono stabilire che quest’ultimo rimanga vincolato per un periodo di tempo al proprio impegno di non concorrenza. Sarà poi il datore di lavoro a scegliere se rendere definitivo l’impegno o se liberare il dipendente.

Quindi, il patto di non concorrenza non si perfeziona al momento dell’accordo delle parti: è il datore di lavoro, in virtù di tale accordo, a decidere in un momento successivo se far entrare o meno in vigore il patto.

Diritto di opzione: la protezione del valore concorrenziale dell’impresa attraverso la predisposizione di un patto di non concorrenza costituisce un’operazione delicata che è bene che venga redatto da un professionista del settore.

Se sei un imprenditore e pensi che la stipula di un patto di non concorrenza possa tutelare al meglio la tua azienda, puoi contattare uno dei nostri avvocati per una consulenza.

 

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Patto di non concorrenza: tra gli obblighi gravanti sul dipendente vi è quello di fedeltà.

Patto di non concorrenzaSempre più frequentamente le aziende avvertono la necessità di tutelarsi verso possibili comportamenti sleali dei propri dipendenti.

Tutela anche da quei comportamenti che i dipendenti potrebbero porre in essere dopo la cessazione del rapporto di lavoro.

Uno strumento che permette al datore di lavoro di arginare l’infedeltà del dipendente è, sicuramente, la previsione di un esplicito patto di non concorrenza.

In generale, il lavoratore non può trattare affari per conto proprio o di terzi soggetti in concorrenza con il datore di lavoro, nè può divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa.

Questo sempre, a prescindere dall’esistenza o meno di un esplicito impegno in tal senso, durante la vigenza del contratto di lavoro.

Ma se l’imprenditore vuole evitare che il proprio dipendente, una volta cessata la collaborazione, faccia ciò è necessario che lo stesso firmi un’espressa previsione in tal senso.

Andiamo nello specifico.

Il patto di non concorrenza necessita della forma scritta.

Tale patto può essere fatto firmare al dipendente all’atto dell’assuzione, in costanza di rapporto e anche all’atto di cessazione dello stesso.

Tale patto di non concorrenza può riguardare tanto i lavoratori dipendenti “generici”, quanto le figure di spicco all’interno dell’organigramma aziendale (per esempio dirigenti e quadri).

Le principali clausole incluse riguardano:

  • l’oggetto: deve essere descritta in modo preciso l’attività aziendale per determinare “i limiti” della non concorrenza per il lavoratore;
  • la durata: non può essere maggiore di 3 anni per impiegati, operai e quadri, e di 5 anni per i dirigenti;
  • Il territorio: deve essere delimitato con precisione il territorio dove non potrà essere svolta l’attività in concorrenza;
  • la retribuzione: deve essere proporzionale all’ampiezza del territorio, all’oggetto e alla durata. Più ampio sarà il divieto, maggiore dovrà essere il corrispettivo, che in genere è misurato in percentuale dell’ultima retribuzione.

E cosa succede se il lavoratore viola il patto?

L’imprenditore potrà richiedere al Tribunale l’emissione di un provvedimento che obblighi il dipendente infedele a cessare immediatamente l’attività vietata.

Eventualmente le parti possono prevedere anche una penale specifica per l’inadempimento del lavoratore.

Sei un imprenditore e stai pensando di vincolare i Tuoi lavoratori con un patto di non concorrenza? Contattaci cliccando qui.

Avv. Lorenzo Coglitore

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Difendersi dalla concorrenza sleale e dallo sviamento di clientela

Informazioni aziendali e segreti commerciali

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Cos’è il segreto commerciale?

segreto commerciale blindato

Semplicemente quella informazione che

  1. è segreta nel senso che non è, nel suo insieme o combinazione degli elementi, generalmente nota o facilmente accessibile a persone che normalmente si occupano del tipo di informazioni in questione;
  2. ha valore commerciale in quanto segreta;
  3. è stata sottoposta a misure ragionevoli, secondo le circostanze, da parte della persona al cui legittimo controllo è soggetta, a mantenerla segreta.

Tale argomento è di grande attualità, in quanto l’Italia ha da poco recepito una direttiva europea che ha modificato il Codice di Proprietà Industriale.

Diverse sono le novità introdotte.

Anzitutto, è previsto che  anche i soggetti che ignorano incolpevolmente l’origine illegale di un segreto commerciale potranno comunque essere destinatari di provvedimenti a tutela del segreto stesso.

Tuttavia, nei loro confronti, è previsto esclusivamente il pagamento di un equo indennizzo, senza l’applicazione delle altre sanzioni normalmente disponibili in tali casi, a cominciare dall’inibitoria.

Ciò a condizione che tale indennizzo sia in grado di soddisfare in modo equo la perdita subita dal titolare dei diritti e che l’adozione di sanzioni ulteriori risulti indebitamente gravosa per la persona interessata.

Viene previsto che nell’adozione delle misure correttive susseguenti all’accertamento di una violazione di altrui segreti commerciali, il Giudice debba operare una sorta di bilanciamento di interessi, tenendo conto anche dell’interesse pubblico.

Nei procedimenti cautelari ora è possibile permettere la continuazione dell’uso illegittimo dei segreti commerciali, a fronte della prestazione di un deposito cauzionale.

Viene dettata una regolamentazione specifica per proteggere la riservatezza dei segreti commerciali dai rischi di divulgazione che essi corrono nel corso dei procedimenti giudiziari ad essi relativi.

La violazione di un segreto commerciale può inoltre configurarsi anche come reato.

Manca, invece, una specifica disciplina relativa alle ipotesi in cui la violazione del segreto possa essere considerata “lecita” in quanto rispondente a interessi di ordine pubblico o, comunque, superiori.

Pertanto, un rafforzamento del know how da parte del Legislatore che dev’essere accolto con favore da tutti gli operatori del mercato.

Se vuoi avere maggiori informazioni sulla tutela dettata in tema di segreti commerciali, know how e concorrenza sleale, contattaci cliccando qui.

Avv. Lorenzo Coglitore

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Il software rappresenta l’esempio più evidente della nuova tendenza espansionistica della proprietà intellettuale.

Abuso di connessione internetI software trovano immediata protezione nel diritto d’autore, per il semplice fatto della loro creazione.

Possono anche ottenere una tutela come brevetto nel caso in cui vadano a realizzare una nuova utilità di natura tecnica.

Quello che ancora oggi viene sottovalutato è che la possibile coesistenza di questi regimi di tutela può creare dei problemi.

Il software è uno strumento tecnico che può essere impiegato sia per la realizzazione di un programma per computer, sia per la realizzazione di un’invenzione tecnica.

Se il mezzo utilizzato è il medesimo, il bene intellettuale può assumere infatti una fisionomia differente.

La tutela del diritto d’autore rimane per il software inteso come programma per leaboratore elettronico (computer, tablet, smartphone).

Di contro, il software inteso come invenzione informatica può essere tutelato da un brevetto.

Nella pratica, tuttavia, non è sempre facile scindere tali differenti aspetti e, in tali casi, possono sorgere diversi problemi.

Ad esempio, il software come diritto d’autore è immediatamente tutelabile, all’atto medesimo della sua creazione.

Invece, un programma che vuole diventare brevetto necessita di determinate e specifiche formalità costitutive, senza le quali il brevetto non esiste.

Può accadere che mentre un software privo di profili inventivi ben può essere oggetto di esclusiva tutela autoriale, un’invenzione di software sarà anch’essa immediatamente soggetta alla tutela autoriale, anche se l’inventore non sia interessato.

Non solo: potrebbe anche verificarsi una situazione in cui la commercializzazione di un programma coperto da diritto di autore violi, perchè magari lo incorpora inconsapevolmente, altro brevetto di software.

I problemi nascenti dalla possibilità di avere tutele distinte, facenti capo a soggetti diversi su porzioni del medesimo bene, vengono amplificati se concepiti all’interno di un’azienda.

Nelle cosiddette invenzioni di servizio e di azienda i diritti derivanti dall’invenzione competono al datore di lavoro, salvo il diritto del lavoratore all’equo premio nella seconda ipotesi.

Di gran lunga più problematica l’ipotesi della cosiddetta invenzione occasionale, cioè quell’invenzione fatta dal lavoratore al di fuori dell’ambito delle sue mansioni di lavoro.

In tale ultima ipotesi potremmo trovarci di fronte a una titolarità disgiunta: il diritto di autore spetterebbe al datore di lavoro, mentre il diritto al brevetto spetterebbe all’inventore.

In conclusione, mettere nero su bianco “cosa” spetta a “chi” risulta, ancora una volta, la migliore soluzione per evitare di finire in Tribunale.

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Slogan e la sua tutela

brevetto e rivendicazioni

violazioni del brevetto e venditore in buona fede

 

 

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Il problema tecnico alla base di un’invenzione: è necessaria la sua enunciazione nella descrizione del brevetto?

problema tecnico brevettoLa giurisprudenza italiana risponde affermativamente.

La dottrina, tuttavia, sposa la tesi opposta.

Cerchiamo di capirci di più.

Il Tribunale di Milano, in relazione a un brevetto relativo a un meccanismo di chiusura per contenitori di gelato, ne ha statuito la nullità in ragione della totale assenza di indicazioni circa la problematica che il brevetto avrebbe voluto risolvere.

Tale fattispecie ha raggiunto la Cassazione.

Questa ha confermato che l’impossibilità di riscontrare quale sia il problema tecnico che il brevetto intende risolvere ne comporta l’impossibilità di conoscere il gradiente di originalità necessario alla sua convalida.

La Cassazione, in altra fattispecie, ha evidenziato che la descrizione chiara e completa del problema tecnico rispetto al quale il brevetto si pone come soluzione ne costituisce indispensabile requisito formale.

Altre pronunce hanno evidenziato, peraltro, che tale carenza non può essere colmata in corso di causa.

A fronte di tale impostazione, numerose sono le perplessità della dottrina.

Quest’ultima, infatti, sostiene che tale impostazione potrebbe togliere di mezzo, in astratto, circa la metà dei brevetti attualmente esistenti in Italia.

Un trovato può essere considerato nuovo e inventivo se risolve un problema tecnico, ma la soluzione di un problema prescinde dalla sua esplicita enunciazione.

Non bisogna, infatti, dimenticare che la descrizione di un brevetto è destinato alla lettura di un tecnico.

Quest’ultimo, per definizione, è in grado di comprendere il problema tecnico risolto dall’invenzione, senza che esso sia espressamente indicato nella parte descrittiva del brevetto.

La dottrina, peraltro, osserva che i motivi di nullità di un brevetto sono tassativamente previsti dal Codice di Proprietà industriale.

Quest’ultimo, tuttavia, non prevede tra i motivi di nullità la mancata descrizione del problema tecnico che il brevetto vorrebbe risolvere.

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Violazione del brevetto: anche il venditore in buona fede è responsabile della contraffazione.

Il brevetto conferisce al titolare un diritto di esclusiva sul prodotto, sia in relazione alla fabbricazione, sia in merito alla commercializzazione dello stesso.

Se viene immesso sul mercato un prodotto nuovo o, comunque, migliore dei precedenti e lo stesso riscuote successo, è probabile che i concorrenti cercheranno di fabbricare prodotti simili o uguali al prodotto originale.

Ciò potrebbe condizionare negativamente la propria attività commerciale, soprattutto nel caso in cui per creare un prodotto nuovo o migliorato si è investito in modo significativo nel suo sviluppo.

Risultano, pertanto, responsabili della contraffazione tutti i soggetti che contribuiscono alla diffusione di un prodotto contraffatto, compreso il venditore in buona fede.

Altro elemento importante è quello che, ai fini dell’accertamento della violazione dek brevetto, non hanno rilievo l’eventuale dolo o colpa del contraffattore.

Il titolare del diritto di esclusiva può vietarne l’uso a terzi senza il proprio consenso in quanto la sua violazione si configura in ogni ipotesi di riproduzione abusiva, a prescindere dalla buona fede del soggetto che realizza l’abuso.

Sotto il profilo risarcirtorio, la giurisprudenza maggioritaria evidenzia che il danno non sussiste per il semplice fatto della contraffazione.

Lo stesso dev’essere pur sempre provato, anche mediante presunzioni.

Il danno può consistere anche nel pregiudizio all’immagine che un’azienda può subire a seguito della violazione del brevetto.

In alcuni casi la giurisprudenza italiana ha liquidato a titolo di danno all’immagine una percentuale dei ricavi ottenuti dalla venditrice dalla vendita del prodotto contraffatto.

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Concorrenza sleale e pratiche commerciali scorrette

Denigrazione e concorrenza sleale

 

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Proprietà intellettuale: quasi tutti i social media, siti di e-commerce e motori di ricerca adottano procedure che consentono ai titolari di un diritto di privativa di segnalare abusi commessi in rete.

Il fine ultimo, ovviamente, è quello di scongiurare di essere coinvolti in azioni legali per concorso nell’illecito insieme al proprio utente e cliente.

Vediamo quali strumenti gratuiti offrono il principale sito di e-commerce (Amazon) e il sociale network più diffuso (Facebook).

Amazon ha lanciato un sistema denominato “Brand Registry” che consente ai titolari di marchi di intercettarne l’utilizzo non autorizzato.

Quanto sopra avviene mediante una ricerca per testo o per immagini.

La registrazione a tale registro ha il beneficio di ridurre la possibilità di violazioni dei diritti di proprietà intellettuale e fornire maggiore autorità al marchio stesso.

Attualmente possono essere iscritte a tale Registro marchi verbali e marchi figurativi con elementi verbali.

Altro sistema idoneo a tutelare i diritti di proprietà intellettuale è quello creato da Facebook.

Il social network più famoso del mondo viene sempre più spesso utilizzato dalle aziende per pubblicizzare i propri prodotti.

Lo strumento offerto è denominato “Commerce & Ads IP Tool”.

Tale sistema costituisce uno strumento con un’interfaccia che consente all’utente di svolgere alcune operazioni molto efficaci.

Per esempio, è possibile cercare nel testo e nel titolo delle inserzioni post su Marketplace e annunci di vendita nei gruppi, per verificare se un marchio registrato è stato menzionato.

Analizza i risultati e identifica eventuali contenuti che potrebbero violare diritti di proprietà intellettuale.

Segnala, infine, i contenuti direttamente a Facebook.

Il sistema consente, inoltre, di ordinare e filtrare i risultati di ricerca per trovare solo i contenuti che l’utente desidera analizzare e per segnalare tali contenuti singolarmente o in gruppo.
Per richiedere l’accesso a “Commerce & Ads IP Tool” è necessario compilare un’apposita domanda di iscrizione.
In conclusione, per le aziende che vogliono tutelare i propri diritti di proprietà intellettuale gli strumenti grautiti sopra descritti possono risultare certamente utili.
Salva la possibilità, in ogni caso, di attivare servizi di web watching più strutturati e sistematici a pagamento.
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Patent box: tassazione agevolata sui redditi derivanti dalle opere dell’ingegno.

La Legge di Stabilità del 2015 ha introdotto il cd. Patent box, una norma che introduce un favorevole regime opzionale di tassazione per i redditi derivanti dall’utilizzo di opere dell’ingegno.

L’orizzonte temporale della norma riguarda il quinquennio 2015 – 2019.

Possono optare per il regime agevolato in esame tutti i soggetti titolari di reddito d’impresa a prescindere dalla forma giuridica adottata.

E’  necessario che tali soggetti svolgano attività di ricerca e sviluppo finalizzati alla produzione di determinati beni immateriali, sia internamente sia mediante contratti di ricerca stipulati con società diverse.

La tassazione agevolata è applicabile ai redditi derivanti dall’utilizzo, diretto o indiretto, di:

  • software protetto da copyright;
  • brevetti industriali;
  • disegni e modelli, giuridicamente tutelabili;
  • processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili.

L’obiettivo è quello di rendere il mercato italiano maggiormente attrattivo per gli investimenti nazionali ed esteri a lungo termine.

Il Patent box, infatti, dovrebbe incentivare la collocazione in Italia di beni immateriali attualmente detenuti all’estero da imprese italiane e favorire l’investimento in attività di ricerca e svuluppo.

Dal punto di vista procedurale, è necessario presentare un’istanza e successivamente arrivare ad un accordo con l’Agenzia delle Entrate, presentando la relativa documentazione.

Ci si domanderà di quanti soldi di risparmio fiscale stiamo parlando. Tantissimi!

Secondo quanto riportato dai Media, grazie al Patent box Luxottica avrebbe risparmiato quasi 100 milioni di euro per il triennio 2015/2017, Campari 28 milnioni in due anni, Cucinelli 2,9 milioni in un anno.

Importi di tutto rispetto quindi.

Il Patent box ha, indubbiamente, portato l’attenzione dei mezzi di comunicazione e degli imprenditori sull’universo della Proprietà Intellettuale e ciò rappresenta un fatto molto importante.

Riteniamo infatti che, a prescindere dal Patent box, sia sempre bene tutelare i propri diritti con marchi e brevetti.

Se vuoi avere maggiori informazioni, contattaci cliccando qui.

Avv. Lorenzo Coglitore