Concorrenza sleale per denigrazione
Concorrenza sleale: la proposizione di una singola denuncia in sede penale nei confronti di un competitor, ove manifestamente infondata, non integra ipotesi di concorrenza sleale concernente la diffusione di notizie e/o apprezzamenti idonei a determinare discredito sul concorrente, bensì ipotesi di concorrenza sleale posta in essere mediante violazione dei principi di correttezza professionale.
Questo il principio stabilito dal Tribunale di Firenze, Sezione specializzata in materia di impresa, nel giugno del 2016.
La società Alfa lamentava di aver subito un sequestro di orologi dalla stessa commercializzati in sede penale, in quanto ritenuti contraffazione del disegno/modello di cui Beta risultava titolare.
Alfa sosteneva, da un lato, la nullità del titolo di proprietà industriale di Beta per difetto del requisito della “novità”, avendo avuto gli orologi commercializzati da Alfa pregressa commercializzazione, dall’altro sosteneva di aver subìto ingenti danni, proprio per effetto dell’avversaria denuncia penale.
Beta, dal canto suo, respingeva tutte le accuse mosse da Alfa.
Il Tribunale riteneva che una singola e infondata denuncia effettuata in sede penale non poteva integrate la fattispecie di concorrenza sleale concernente la diffusione di notizie e/o apprezzamenti idonei a determinare discredito sul concorrente, essendo carente quella che viene definita come “condotta diffusoria”, che presuppone una pluralità, anche potenziale, di destinatari, assente nel caso di specie.
Tuttavia, il Giudice fiorentino riteneva integrata l’ulteriore fattispecie della cd. concorrenza sleale contraria ai princìpi della correttezza professionale, idonea a danneggiare l’altrui azienda.
Da ciò derivava la fondatezza della domanda risarcitoria formulata da Alfa.
La clausola generale della correttezza professionale dettata in materia di concorrenza sleale garantisce possibilità di tutela alle fattispecie non espressamente previste dalla legge.
La dottrina e la giurisprudenza hanno comunque identificato una serie di ipotesi che nella prassi si sono tipizzate.
Oltre a casi come quello affrontato dal Tribunale fiorentino, tra le pratiche più ricorrenti si segnalano le “vendite sottocosto” (c.d. dumping) che costituiscono pratica concorrenziale illecita per il solo fatto di determinare effetti monopolistici e/o eliminare concorrenti dal mercato, indipendentemente dal fine specifico di estromettere i propri concorrenti.
Altra ipotesi è il “boicottaggio economico”, vale a dire le ipotesi del rifiuto di contrarre e l’induzione di altri imprenditori a non stipulare contratti o intraprendere rapporti con un concorrente, impedendo la permanenza sul mercato del soggetto leso.
La “concorrenza parassitaria” è un altro esempio, consistendo nell’imitazione continua e sistematica delle iniziative imprenditoriali di uno o più concorrenti.
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