Mantenimento figlio. I 6 punti essenziali che un padre separato dovrebbe conoscere
“Mantenimento figlio” è la prima voce nell’elenco degli argomenti da discutere quando una coppia genitoriale si separa, sia nell’ambito di separazioni dei coniugi, sia in ogni giudizio che coinvolge genitori non sposati che decidono di interrompere la convivenza. E’ evidente che i genitori non smettono di essere tali nel momento in cui smettono di convivere ed entrambi dovranno continuare a contribuire alla crescita, all’educazione, alla cura dei propri figli anche sotto il profilo economico.
Considerato che è un diritto riconosciuto ai figli quello di mantenere un rapporto significativo con entrambi i genitori ed i rispettivi rami parentali, ci si potrebbe chiedere se non sia sufficiente che ciascun genitore continui ad occuparsi del proprio figlio quando lo tiene con sé, senza la necessità di prevedere passaggi di denaro tra i genitori.
Vediamo di dare una risposta a questa domanda, di comprendere la funzione dell’assegno di mantenimento e di analizzare tutte le questioni che le coppie separate si trovano ad affrontare in ordine al mantenimento del figlio.
Indice
1. Il mantenimento diretto
Quando entrambi i genitori si occupano direttamente del figlio nelle tempistiche tra loro concordate o decise da un Giudice, senza che sia previsto un contributo economico in favore di nessuno dei due per il mantenimento del figlio, si dice che i genitori sono in regime di “mantenimento diretto”.
In tal caso, entrambi spenderanno direttamente quanto necessario per nutrire i figli, dar loro un’abitazione pagandone i relativi costi, e acquistare per loro il vestiario necessario.
Il mantenimento diretto, tuttavia, può essere attuato nei casi di seguito elencati:
1) i genitori hanno redditi pressoché equivalenti e il figlio soggiorna in modo paritario con l’uno e con l’altro dei propri genitori (collocamento paritario o paritetico).
Per esempio: la madre guadagna 1600 € netti al mese per 14 mensilità (1600×14:12 mesi = 1866,66 €), il padre guadagna circa 1750 € netti al mese per 13 mensilità (1750×13:12= 1895,83 €), i figli trascorrono con i genitori settimane alternate e la casa coniugale e la casa coniugale era in locazione per cui entrambi pagano un canone per la propria abitazione.
2) il genitore che ha il collocamento prevalente ha un reddito sensibilmente superiore rispetto a quello del genitore non collocatario e non si è ritenuto opportuno stabilire un contributo economico da parte di questi, che contribuirà, proporzionalmente alle proprie possibilità, occupandosi del figlio nel periodo in cui lo terrà con sé.
Per esempio: il figlio è collocato prevalentemente presso il padre (circostanza che capita ormai più frequentemente che in passato) che guadagna circa 4000 € al mese per 13 mensilità (4000×13:12= 4333,33 €), mentre la madre, che tiene con sé il figlio 4 o 5 giorni al mese in meno rispetto al padre, guadagna 1600 € al mese per 14 mensilità ed entrambi hanno un canone di locazione da pagare.
2. Qual è la funzione dell’assegno di mantenimento del figlio e quando è dovuto?
Il mantenimento del figlio richiederà, invece, un contributo economico a favore del genitore economicamente più debole.
L’assegno di mantenimento figlio ha la funzione di consentirgli di mantenere il medesimo tenore di vita goduto durante la convivenza dei genitori.
L’assegno di mantenimento, infatti, ha la funzione di consentire proprio al figlio di godere delle stesse possibilità sia quando si trova a vivere con la mamma, sia quando vive con il papà.
Facciamo un esempio: la mamma ha il collocamento prevalente del figlio minore, guadagna circa 1600 € al mese per 14 mensilità (=1866,66 € su 12 mesi) ed ha ottenuto l’assegnazione della casa coniugale di proprietà esclusiva del marito. La casa ha un valore locatizio di 800 € al mese ed è quindi come se la Signora ricevesse dal marito 800 € al mese per un canone di locazione, maturando un attivo mensile di € 2666,66.
Il marito guadagna circa 4000 € al mese per 13 mensilità (= 4333,33 € su 12 mesi) e, oltre a dover continuare ad onorare il un mutuo residuo con una rata di 400 € al mese, paga un canone di locazione di 800 € al mese per l’abitazione in cui si è trasferito e gli residueranno mensilmente 3133,33 € (= € 4333,33-800-400).
In tal caso, verosimilmente il padre in questione potrà essere tenuto a pagare un contributo per il mantenimento del figlio di 300/400 € che consentiranno alla madre di poter far fronte alle esigenze principali del minore senza dover limitare il suo tenore di vita.
3. Quali costi copre l’assegno di mantenimento figlio e cosa sono le spese straordinarie?
L’assegno di mantenimento contribuisce a coprire i costi ordinari del figlio, nei quali sono compresi il vitto (la spesa alimentare), l’alloggio (la quota parte delle utenze domestiche, spese condominiali, canone di locazione o mutuo, tari, etc.), il vestiario, i farmaci da banco e le piccole spese quotidiane.
Secondo le linee guida del CNF (Consiglio Nazionale Forense), il contributo al mantenimento dovrebbe ricomprendere anche buona parte dei costi prevedibili che un genitore è tenuto a sostenere per il figlio.
Tuttavia, in modo del tutto difforme, molti Protocolli sulle spese straordinarie previsti dai singoli Tribunali comprendono buona parte di tali costi tra le spese straordinarie da ripartirsi normalmente nella misura convenuta, normalmente al 50%.
4. Mantenimento figlio maggiorenne
I padri separati tenuti al mantenimento dei propri figli mi hanno spesso chiesto se il loro obbligo cessasse con il raggiungimento della maggiore età.
La risposta a questa domanda è no. Il raggiungimento della maggiore età non basta per esonerare i genitori dall’obbligo di mantenimento, ma è necessario che il figlio maggiorenne sia anche economicamente indipendente.
“Ma quindi devo mantenere mio figlio a vita?” mi sono sentita chiedere spesso. Anche a questa domanda posso finalmente affermare che la risposta è no.
Solo recentemente, infatti, la Corte di Cassazione ha aggiustato il proprio orientamento rendendo più stringenti i presupposti alla base del diritto del figlio maggiorenne al mantenimento, sino ad arrivare ad affermare che, se per il figlio appena maggiorenne l’iscrizione all’Università o la prosecuzione del corso di studi sono sufficienti a dimostrare il diritto ad essere mantenuto dai genitori, il figlio “adulto” che abbia ormai ultimato il proprio percorso scolastico dovrà dimostrare in modo rigoroso di aver vanamente cercato “un lavoro contemperando, fra di loro, le sue aspirazioni astratte con il concreto mercato del lavoro, non essendo giustificabile nel “figlio adulto” l’attesa ad ogni costo di un’occupazione necessariamente equivalente a quella desiderata”.
Non basterà dunque più al figlio maggiorenne sostenere di non aver trovato il lavoro che desidera per poter continuare a percepire l’assegno di mantenimento a carico del genitore obbligato, ma dovrà dimostrare di non aver reperito un’attività per circostanze esterne insuperabili.
Ciò significa che, ove l’assegno di mantenimento sia stato deciso quando il figlio era minorenne o comunque studente, il padre obbligato a versarlo alla ex-moglie, una volta che il ragazzo abbia ultimato il percorso di studi, trascorso il lasso di tempo mediamente necessario per trovare un lavoro, di fronte all’inerzia del figlio, potrà rivolgersi al Tribunale per ottenere la revoca del contributo, a prescindere dal fatto che il figlio abiti ancora in casa con la madre.
5. Modifica dell’assegno di mantenimento figlio
L’assegno di mantenimento figlio, tuttavia, può essere rivisto anche quando il figlio non ha ancora raggiunto l’indipendenza economica.
La modifica potrebbe essere anche volta ad aumentare l’assegno di mantenimento figlio per adeguarlo alle maggiori esigenze connesse alla crescita del figlio stesso, da bambino ad adolescente.
L’assegno di mantenimento figlio potrà anche essere in diminuzione, qualora le condizioni economiche del genitore obbligato al pagamento dovessero sensibilmente peggiorare, rendendo insostenibile l’impegno economico stabilito sulla base di altri presupposti reddituali e/o patrimoniali.
Tali condizioni si sono tristemente verificate per molti padri durante la pandemia del 2020 che comportò la chiusura di molte attività e mise in difficoltà molte persone in diversi settori lavorativi.
6. Conseguenze del mancato pagamento dell’assegno di mantenimento figlio
Tanti genitori in difficoltà pensano di risolvere il problema semplicemente smettendo di corrispondere l’assegno di mantenimento alla madre dei propri figli, anche senza aver ottenuto il suo assenso.
Smettere di pagare l’assegno di mantenimento per il figlio, tuttavia, è irresponsabile sia perchè rischia di mettere in difficoltà il figlio stesso, sia per le conseguenze penali ed economiche che può comportare a danno del genitore che si sottrae al pagamento.
Il mancato pagamento dell’assegno di mantenimento costituisce reato ai sensi degli articoli 570 bis del codice penale, che punisce “il coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto“.
A fronte del mancato pagamento dell’assegno di mantenimento figlio, inoltre, il genitore in favore del quale è stabilito il contributo può ottenerne il pagamento da parte del datore di lavoro del genitore obbligato o attivare altre procedure per pignorare crediti e beni del genitore obbligato.
In caso di difficoltà a corrispondere l’assegno di mantenimento figlio o qualora non lo si ritenga più dovuto, dunque, è opportuno rivolgersi ad un avvocato divorzista esperto in diritto di famiglia per ottenerne la revisione o la revoca da parte del Tribunale competente.