Un recente caso trattato in studio ci dà lo spunto per esaminare i limiti imposti dalla legge al potere di controllo dei lavoratori a distanza da parte del datore di lavoro e la possibilità di utilizzo dei dati ottenuti.
Gli strumenti di controllo dei lavoratori a distanza da parte del datore di lavoro possono distinguersi in 3 categorie:
1. strumenti che servono unicamente per il controllo dei lavoratori a distanza:
–> vietati
2. strumenti che servono per esigenze:
– produttive e organizzative;
– sicurezza sul lavoro;
– sicurezza patrimonio aziendale;
e che comportano anche il controllo dei lavoratori a distanza,
–> ammessi previo accordo sindacale o in mancanza previa autorizzazione presso la Direzione Territoriale del Lavoro (ora Ispettorato territoriale del Lavoro);
–> limiti in materia di privacy;
–> previa adeguata informazione ai lavoratori.
3. Strumenti necessari per rendere la prestazione lavorativa e registrazione degli accessi e delle presenze
(ad esempio, pc, tablet, telefoni cellulari, gps…)
–> limiti in materia di privacy;
–> previa adeguata informazione ai lavoratori, sulle modalità d’uso degli strumenti (con indicazione di quali comportamenti sono tollerati e quali vietati) e sulle modalità di effettuazione dei controlli (chi è il soggetto che effettua il controllo, la periodicità, ecc.).
Le informazioni raccolte mediante tali strumenti, nel rispetto dei requisiti indicati ai punti 2 e 3, sono utilizzabili dal datore di lavoro a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, e quindi possono essere utilizzate anche a fini disciplinari.
La materia è regolata dall’art. 4 Statuto Lavoratori, modificato dal D.Lgs. 151/2015, attuativo del Jobs Act, e ancor più di recente modificato dal D.Lgs. n. 185 del 24 settembre 2016, correttivo del Jobs Act, entrato in vigore l’8 ottobre 2016.
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