Il caso riguarda un lavoratore che, in aggiunta alle proprie mansioni, ha svolto per diversi anni mansioni rientranti in un livello superiore rispetto a quello riconosciutogli dal datore di lavoro.
Rivolta ripetutamente al datore di lavoro la richiesta di riconoscimento della qualifica superiore, il lavoratore si è visto costantemente negare tale riconoscimento.
Dopo circa tre anni senza ottenere la qualifica superiore, il lavoratore decideva di opporre al datore di lavoro il rifiuto di svolgere quelle mansioni che rientravano nella qualifica superiore, continuando a svolgere soltanto le mansioni che rientravano nel proprio livello di inquadramento.
Il datore di lavoro, ritenendo di aver esercitato nel modo corretto il proprio potere di modifica delle mansioni assegnate e che il rifiuto opposto dal lavoratore costituisse insubordinazione, ha reagito comunicando il licenziamento disciplinare.
Il lavoratore ha impugnato il licenziamento reputandolo ingiusto ed ha avviato un contenzioso arrivato fino alla Corte di Cassazione.
Esaminate le prove, i Giudici hanno anzitutto accertato che le mansioni svolte corrispondevano effettivamente alla qualifica superiore richiesta dal lavoratore.
Sono poi stati confrontati entrambi i comportamenti: da un lato, il rifiuto del lavoratore di svolgere le sole mansioni rientranti nella qualifica superiore, e dall’altro lato, il rifiuto del datore di lavoro di riconoscere la qualifica superiore a cui corrispondevano le mansioni svolte.
È stata data quindi rilevanza al fatto che il lavoratore abbia limitato il proprio rifiuto alle sole mansioni superiori, continuando a svolgere le altre, sicché il rifiuto (parziale) è stato ritenuto proporzionato all’inadempimento a propria volta commesso dal datore di lavoro che non ha riconosciuto la superiore qualifica ripetutamente richiesta e dovuta.
Il rifiuto parziale del lavoratore è stato ritenuto proporzionato all’inadempimento del datore di lavoro
I Giudici hanno quindi dato ragione al lavoratore, ritenendo che il comportamento dello stesso non fosse tale da giustificare la sanzione del licenziamento, che è stato quindi dichiarato illegittimo (Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 07-10-2016, n. 20222).
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